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Come rendere coinvolgente la lezione a distanza. Un'indagine e alcuni consigli di Pino Suriano

È online dal 5 novembre l’ultimo appuntamento del ciclo di webinar del Gruppo Editoriale La Scuola SEI in collaborazione con Dire, fare, insegnare.

Metodologie 
09 novembre 2020 di: Redazione
copertina

La videolezione, tenuta dal professor Pino Suriano, si è concentrata sul tema della lezione a distanza e di come rendere questa nuova modalità didattica coinvolgente per gli studenti.

Per comprendere quali siano le dinamiche utili ed efficaci e quali invece quelle dannose per l’apprendimento è necessario partire dall’analisi del nuovo contesto in cui tutti, docenti, dirigenti, studenti e genitori si sono ritrovati.

È indubbio che il nuovo periodo storico in cui ci troviamo abbia sconvolto le prospettive tradizionali della scuola italiana, e non solo. Questo periodo, immediatamente successivo alla sospensione della didattica in presenza e all’avvento del digitale, può essere un fruttuoso momento di riflessione su quanto accaduto. Per creare una vera indagine sulla didattica a distanza si è scelto di usare il mezzo dell’intervista, rivolta a tutti i partecipanti all’attività scolastica di ogni ordine e grado. Pino Suriano ha quindi chiesto a docenti, studenti, dirigenti, genitori e docenti di sostegno di raccontare la loro esperienza, concentrandosi su cosa avevano trovato davvero riuscito e coinvolgente e cosa invece non aveva funzionato. In particolare la prospettiva dei docenti di sostegno si è rivelata particolarmente utile, dal momento che in virtù del proprio ruolo hanno un orizzonte privilegiato e una visione d’insieme delle dinamiche della classe e delle videolezioni.

Innanzitutto bisogna tenere a mente che la videolezione chiama in causa anche le cosiddette soft skills del docente, mette alla prova la sua capacità di leadership e di pianificazione, la gestione del tempo della lezione; la sua adattabilità, ossia la prontezza a entrare in un mondo totalmente nuovo e la capacità di gestirne lo stress; le sue abilità di team working, poiché la collaborazione con gli studenti diventa un mezzo irrinunciabile. Queste abilità sono diventate fondamentali per il docente, che in questa fase non può contare sui meccanismi “classici” di rispetto e riconoscimento di autorità che si attivano automaticamente in classe. Dunque come acquisire autorevolezza anche fuori dall’aula? Come gestire il tempo di una lezione che si restringe? E come dosare le energie personali, affaticate dallo schermo e dalla necessità della concentrazione?

Davanti a queste nuove sfide ci sono tendenzialmente due grandi errori di approccio da parte dei docenti. Il primo consiste nell’esprimere totale sfiducia verso il mezzo di comunicazione; in generale se il docente stesso si mostra diffidente o rassegnato, non potrà che generare lo stesso atteggiamento nei suoi allievi che inevitabilmente lo seguono e lo prendono come modello di riferimento. Fra gli errori più comuni inoltre si trovano i diversi atteggiamenti degli insegnanti non-informatizzati che talvolta si sono mostrati sicuri del mezzo pur avendo grosse lacune e generando così sfiducia nei ragazzi. Quando invece i docenti hanno chiesto la collaborazione dei ragazzi per colmare queste lacune, hanno instaurato un’atmosfera collaborativa e sottolineato la differenza fra mezzo e fine educativo, mantenendo in questo modo la propria autorevolezza senza preoccuparsi di fingere.

Il secondo errore di approccio invece consiste nel percepire ogni cosa come nuova e di rivoluzionare quindi ogni elemento del proprio metodo, anche quelli che funzionavano e avrebbero funzionato benissimo anche a distanza. Si tratta di un errore di percezione delle proprie attitudini: si ritengono inutili nel nuovo contesto le abilità e le dinamiche consolidate in precedenza. Naturalmente invece i punti di forza di un docente rimangono gli stessi anche in videolezione e anzi l’esperienza della didattica a distanza può costituire un proficuo momento di riflessione sulle proprie attitudini e caratteristiche come insegnante.

Il nuovo ambiente quindi deve portare a un cambiamento di prospettiva e a una riflessione su quello che sappiamo fare come inseganti. Il primo tema di riflessione è la “fatica del monitor”, ossia il problema del rapporto totalizzante con lo schermo, che non sempre è modulato sulle esigenze dell’insegnamento, e in secondo luogo esclude inevitabilmente dalle nostre conversazioni tutto il linguaggio non verbale, una grande parte di informazioni di cui normalmente disponiamo. A causa del surplus di concentrazione richiesto per questo motivo l’insegnamento e l’apprendimento tramite uno schermo generano grande stanchezza visiva, uditiva e di concentrazione.

Un altro tema emerso dall’indagine e dalla seguente riflessione è quello del saluto. Se in classe il saluto è generale e rivolto al gruppo, nella didattica a distanza l’attenzione per ogni singolo studente e quindi il saluto personale, divengono elementi fondamentali, che garantiscono agli studenti l’attenzione individuale da parte del docente. Un altro elemento è la flessibilità derivata dalla distanza; infatti la gestione del tempo e delle consegne attraverso gli strumenti digitali dava spazio alle capacità organizzative e all’autonomia dei ragazzi. Infine è emerso chiaramente che i momenti di maggior coinvolgimento per gli studenti sono stati sempre quelli in cui erano chiamati esplicitamente a partecipare e a contribuire in prima persona alla lezione, svolgendo attività o intervenendo.

Poste tutte queste premesse si delinea un quadro di atteggiamenti positivi e negativi nella didattica a distanza e un relativo gruppo di consigli pratici sui quali si è concentrata l’ultima parte del webinar. Poiché l’efficacia della comunicazione è essenziale per la buona riuscita della didattica a distanza si sono dati alcuni consigli per raggiungere questo obiettivo.

In primo luogo può essere utile focalizzare la propria attenzione su un interlocutore all’interno della classe, per evitare la spiacevole sensazione di parlare a un muro o la mancanza di feedback visivi. Anche la modalità di visualizzazione della classe è importante: è utile scegliere quella collettiva quando si parla a tutti e focalizzarsi sullo speaker quando si svolge un’attività precisa. Inoltre è utile sfruttare il tipo di inquadratura della webcam: qualora fosse possibile è bene inquadrarsi a mezzobusto con una certa distanza, operazione che potrebbe aiutare a integrare parzialmente il linguaggio non verbale.

Per quanto concerne invece spunti organizzativi e strumenti è venuto fuori che molti insegnanti hanno trovato utile dividere i ragazzi in piccoli gruppi e fare una lezione per ogni gruppo ma di durata più breve. Questo ha portato a una maggiore possibilità di interazione e di recuperare i momenti persi a causa di problemi tecnici. Atri strumenti utili sono quelli di interazione o feedback presenti nelle stesse applicazioni o online: l’uso di sondaggi, di strumenti come Miro, Peardeck integrabili a Google Presentazioni danno la possibilità al docente di avere una risposta immediata; fra questi senza dubbio si annovera anche la chat che permette di ottenere facilmente risposte, e di esercitare un tipo di scrittura immediato ma curato perché rivolto all’insegnante.

Per cercare di ovviare al problema della gestione del tempo infine si è proposto un modello di organizzazione della lezione: il modello “5-20; 5-20”, che divide in diverse sezioni temporali i 50 minuti della lezione.

Secondo questo modello i primi 5 minuti dovrebbero sempre essere di saluto e contatto fra docente e studenti; poi si svolgono i 20 minuti “cuore” della lezione all’interno dei quali ci si dedica all’attività principale di introduzione di contenuti nuovi o verifica; in seguito altri 5 minuti per l’assegnazione dei compiti; infine 20 minuti dedicati alla creazione di un prodotto collaborativo, un lavoro collettivo su un testo o un progetto.

La coproduzione di un elaborato è un’attività molto utile nella didattica a distanza, che può essere sempre seguita dall’insegnante durante la videolezione. La creazione di un prodotto collaborativo può adattarsi a qualsiasi fascia di età e può essere svolto in gruppi o singolarmente, deve essere un compito in situazione e permette di integrare la didattica sincrona e asincrona.

Un esempio efficace di prodotto collaborativo è la realizzazione di Microconferenze (Pino Suriano ce ne aveva già parlato qui). Attraverso questo compito si possono sviluppare le abilità di public speaking dei ragazzi e ottenere una performance oratoria come prodotto finale. Normalmente la scuola non si concentra molto su questa abilità, che viene stimolata solo per l’esposizione di contenuti altrui, ma il lavoro su contenuti propri tende a stimolare e coinvolgere di più i ragazzi, che diventano così veri a propri relatori di un convegno. L’attività può essere svolta su qualsiasi obiettivo di apprendimento, ma si differenzia dalle altre forme di verifica orale perché in essa subentrano le dinamiche della comunicazione: non solo si deve essere “preparati” sull’argomento, ma anche esporlo in maniere incisiva e generare interesse per il tema prescelto.L’attività si divide in diverse fasi: prima si analizzano modelli espressivi di successo, che riescono a integrare i due livelli della ricerca scientifica e dell’interesse dello spettatore; poi si passa alla scelta dell’argomento che dovrà essere calibrata a seconda dell’ordine scolastico cui si appartiene: si pensa a temi di più inerenti all’attività didattica per le scuole superiori di secondo grado, ad ambiti disciplinari più ampi per la scuola secondaria di primo grado e a temi personali per quanto riguarda la scuola primaria. Inseguito si passa alla ricerca dei contenuti veri e propri e subito dopo alla fase di scrittura preliminare della conferenza.Alla fase di scrittura segue quella di revisione da parte del gruppo classe, una riscrittura collaborativa che prevede una ricostruzione del testo come in una redazione e guidata dall’insegnante. Infine si producono le slide che devono essere al servizio del discorso. Il risultato finale è un discorso pubblico, un’esibizione e la creazione di un format che il ragazzo potrà esporre.

I ragazzi dunque diventano creatori in prima persona di un contenuto, che è frutto di una loro idea e della loro ricerca. Si dà così riconoscimento a una loro passione personale, ma allo stesso tempo si fornisce l’occasione di mettersi alla prova di fronte a tutti nell’esposizione di questa passione. Per l’insegnante è utile perché si riesce a lavorare contemporaneamente sulla qualità dei contenuti e delle forme per esprimerli, ma anche e soprattutto perché così facendo si educano i ragazzi all’autonomia, che li rende soggetti attivi nell’apprendimento.