Dire, fare, insegnare
Dire, fare, insegnare
Dire, fare, insegnare

Contro gli stereotipi di genere: intervista con La Tata Maschio

Nella Giornata internazionale della Donna vi proponiamo la nostra intervista con Lorenzo Naia, la “Tata Maschio”, per parlare di stereotipi di genere, di fiabe e del coraggio di scegliere il proprio lieto fine.  

Inclusione 
08 marzo 2022 di: Lorenzo Naia
copertina

L’8 marzo, la Giornata Internazionale della Donna, serve a ricordare a tutti il rispetto che va portato alle donne, alle loro scelte e alle loro capacità, e per parlare di equità e parità di diritti nella società. Il problema degli stereotipi di genere è un tema complesso che riguarda molti aspetti della nostra quotidianità: in particolare, alcune dinamiche che si possono osservare nel campo educativo riflettono sia le difficoltà sia le occasioni di cambiamento legate oggi alla questione.

Ne abbiamo parlato con Lorenzo Naia, autore di libri per bambini e direttore creativo di progetti family friendly noto come La Tata Maschio, che per anni si ha lavorato nei servizi educativi per l’infanzia e che ora si occupa anche di formazione per adulti nell’ambito della scrittura, della lettura e della creatività. In questa intervista ci ha raccontato cosa significa essere, appunto, una “tata maschio”, e quali sono le opportunità che la fantasia e la narrazione offrono per raccontare a bambine e bambini che è possibile seguire altre strade e altri “finali”.

Sul web sei noto col nickname “La Tata Maschio”, che era il nome del tuo primo blog e tuttora è il dominio del tuo sito. Da dove nasce questa scelta?

Le mie prime esperienze lavorative, che risalgono agli anni universitari, sono state proprio come babysitter. Nel 2014 ho deciso di aprire il blog La Tata Maschio: era un modo per raccontare il mio punto di vista, forse un po’ diverso da quelli già esistenti, e la cosa ha avuto una risposta positiva, radunando una bella comunità attorno ai miei canali. Dal lavoro presso alcune famiglie ho imparato l’importanza delle relazioni; la comunicazione online mi ha permesso invece di conciliare l’amore per il mondo dei bambini e la necessità della scrittura. Ai miei occhi, quello di tata e quello di autore sono in definitiva due mestieri di cura. Il nickname “La Tata Maschio” credo mi rappresenti molto: c’è ironia, ma c’è anche l’invito implicito a oltrepassare gli schemi mentali limitanti e qualificare le persone per ciò che sanno fare.

Quello degli stereotipi di genere è per te non solo un tema, ma anche una causa su cui ti spendi molto. Da dove parte il tuo attivismo?

Nel settore educativo e scolastico ancora oggi è lampante la scarsa presenza maschile, anche se le cose stanno pian piano cambiando. Per anni sono rimasto quasi sempre l'unico uomo all'interno dei vari contesti in cui operavo, e la mia presenza andava ogni volta giustificata. Per cui, quando mi sono ritrovato in posizioni di coordinamento, ho sempre cercato di creare dei gruppi più equilibrati e rappresentativi e, nel frattempo, ho deciso di approfondire il tema degli stereotipi, di portarlo dentro il mio lavoro proprio perché mi rendevo conto di quali benefici potevano godere le bambine e i bambini quando si muovevano all’interno di un ambiente con modelli adulti differenti dal solito. Sono convinto che chiunque si occupi di infanzia, a vario titolo, non possa non interrogarsi e non formarsi su questa tematica.

Parallelamente hai iniziato a produrre testi per l’infanzia. Tra questi, Fiabe in rosso (VerbaVolant), un libro contro la violenza e gli stereotipi di genere.

Il libro inizia con una dedica, che credo racchiuda il senso del progetto: “A tutte le bambine e a tutti i bambini del mondo, perché non smettano mai di cercare un lieto fine per la storia della loro vita”. Fiabe in rosso è un libro nato a quattro mani, insieme all’illustratrice Roberta Rossetti: si tratta di una breve raccolta di fiabe della tradizione, tutte con protagoniste femminili, ma con finali rivisitati. Perché il finale delle storie non è uno solo, non è uguale per tutte e tutti e, soprattutto, non deve essere già deciso da qualcun altro. La felicità non consiste necessariamente nel trovare il principe azzurro, ma nel guadagnarsi il proprio posto nel mondo.

Sia Roberta sia io, per motivi diversi, durante la nostra formazione abbiamo studiato le fiabe. Ci siamo resi conto che le protagoniste delle fiabe della tradizione hanno tutte la stessa sorte, vengono spostate da un posto all'altro senza possibilità di scelta e nell’attesa di essere salvate da qualcuno. Sostanzialmente, non sono mai loro a decidere che direzione imprimere alla trama. Roberta mi propose di riscrivere qualche testo, sapendo che mi occupavo già da tempo di stereotipi di genere, e a me è sembrato che la fiaba potesse sostenere questo messaggio, visto che è uno strumento che nasce per trasmettere una morale e per rimarcare meccanismi socio-politici e di potere, come le gerarchie e i codici interpersonali che costruiamo.



In questi testi ritroviamo gli elementi principali delle versioni originali, offrendo però un possibile corso alternativo dei fatti. Lo stereotipo, infatti, diventa un problema se limitante, se non ammette deviazioni o variazioni sul tema; dobbiamo sempre allenarci a tenere a mente che la società che abbiamo di fronte è una delle possibilità, non l'unica. Con questo libro abbiamo voluto rimettere in discussione la narrazione e i ruoli tradizionali, per ricordarci che si può dare spazio ad altre storie.

Nella nuova edizione ampliata del libro, uscita nel 2020, a Mignolina, Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Rosaspina e Raperonzolo si sono unite Malvina e Cenerentola. Da Fiabe in rosso, segnalate tra gli altri da Amnesty International e Se Non Ora Quando, sono nati anche altri progetti: diverse mostre, spettacoli teatrali e la campagna Cambiamo il finale, in collaborazione con Chayn Italia e Worth Wearing e a favore dei centri antiviolenza.

Le scarpe rosse in copertina sono già un riferimento velato alla questione del femminicidio, così come il collage con pezzi di quotidiani nelle illustrazioni.

Sì, la copertina è una citazione di Zapatos Rojos (Scarpe Rosse, in spagnolo) dell’artista Elina Chauvet, un’opera di arte pubblica e partecipata che assume la forma di un’installazione composta da moltissime paia di scarpe rosse da donna: lo scopo è quello di denunciare l’omertà che avvolge la scomparsa e l’uccisione di centinaia di donne a Ciudad Juárez, in Messico, e dire basta alla violenza di genere.

Il rosso è un colore molto presente nel libro, ed è anche l’unico oltre al bianco, al nero e alla carta da pacco. È un colore primario, un colore che non lascia indifferenti, un colore carico di significati e simbologie. Noi l’abbiamo scelto innanzitutto perché è il colore dell’amore e della voglia di amare. E la voglia di amare è una forza che, per definizione, attrae e non respinge, unisce e non separa, costruisce e non distrugge. Una forza quindi che parte dalla vita per aggiungere altra vita...