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Dal racconto alla Storia. Cambiare prospettiva per cambiare metodo didattico

Daniele Dapiaggi, docente di Storia e di Geografia al Liceo Classico “Cesare Arici” di Brescia, propone una approccio allo studio della Storia che, partendo da diversi contesti, conduce lo studente verso abilità e competenze, evitando la semplice memorizzazione di date ed eventi.

Metodologie  Secondaria 
13 novembre 2020 di: Daniele Dapiaggi
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Già le riforme del 2010 e del 2012, e poi le Linee Guida per la Didattica digitale integrata del giugno 2020, hanno posto al centro del percorso formativo scolastico le competenze, siano esse disciplinari o trasversali. La scuola italiana, che nel suo complesso fatica a recepire completamente le direttive nazionali, vede nella storia una disciplina ancorata a metodi didattici tradizionali, volti a trasferire conoscenze più che a stimolare lo sviluppo di competenze.

Nel corso del secolo scorso la necessità di aprire le scuole a masse di studenti sempre più ampie, nonché l’influenza del pensiero di Benedetto Croce, ha influito profondamente nell’impostazione della didattica della storia, nella scansione degli argomenti nei programmi scolastici e nella scelta delle tematiche da affrontare. La scuola diventava popolare, aveva il compito di fornire a tutti i giovani una cultura di base e in quest’ottica la storia insegnata nelle aule scolastiche rispondeva alla sua funzione sociale: formare dei cittadini attraverso la conoscenza dei principali fatti e dei grandi personaggi “che hanno fatto la Storia”. La disciplina che oggi abbiamo il compito di insegnare si è così ridotta a elenchi di nomi e di date, che gli studenti hanno il compito di imparare e la libertà di dimenticare poco dopo l’interrogazione. Credo che l’abbandono del puro nozionismo sia una delle sfide che come insegnanti dobbiamo accettare, se vogliamo che la Storia abbia ancora qualcosa da trasmettere e sia in grado di dare alle nuove generazioni consapevolezza del passato e chiavi interpretative del presente.

Per fare questo non basta proporre la Storia in modo moderno, magari sfruttando lo strumento tecnologico: serve un cambiamento più radicale, che modifichi il paradigma col quale interpretiamo la storia stessa. Una possibile pista di lavoro prevede il passaggio dalla storia degli eventi a quella dei fenomeni, sulla scia del lavoro fatto dagli storici francesi della École des Annales. Un passaggio che sintetizzerei attraverso tre fasi.

1. Superare la storia raccontata e l’importanza dei contesti

Già nel 1903 François Simiand, nel suo celebre articolo Méthode historique et Science Sociale, denunciava come la storiografia tradizionale mal interpretasse il passato utilizzando tre categorie che l’autore, rifacendosi a Francesco Bacone, chiama “idoli della tribù degli storici”: l’idolo politico, vale a dire la tendenza di fondare la storia esclusivamente su eventi politici (es. le guerre), tralasciando i contesti sociali, economici o culturali; l’idolo individuale, cioè concepire i grandi personaggi come gli unici motori della storia; l’idolo cronologico, ossia l’abitudine di ricercare le origini e di organizzare gli eventi sotto forma di un’infinita catena di fatti.

Gran parte dei manuali scolastici oggi disponibili ha una struttura che poggia sul paradigma criticato da Simiand. I capitoli portanti sono ancora costruiti sugli eventi, sui grandi personaggi e organizzati in cornici cronologiche a volte poco funzionali. Alcuni limiti di questa impostazione emergono nello studio della storia antica: chi non ha mai sentito studenti sostenere che “prima vengono gli Egizi, poi i Greci e dopo i Romani”? Oppure non ha mai visto volti sbigottiti di fronte al fatto che i Tolomei studiati durante la conquista romana dell’Egitto fossero gli stessi già incontrati l’anno precedente, quando si era affrontata la storia egizia?

Diverse strade possono essere percorse per ovviare a problemi di questo tipo: una è il ricorso ad un approccio geo-storico, che privilegia la componente geografica a quella cronologica e che permette di scattare delle istantanee, come se si tagliasse in verticale una linea del tempo. In questo modo si recupera una visione di insieme e assumono un’importanza strategica quei capitoli dei manuali dedicati ai contesti (politico, economico, sociale, culturale, geografico), perché fanno da collante fra gli eventi e riescono a farne emergere il senso. Già Fernand Braudel, in Storia misura del mondo, sosteneva come sia impossibile costruire una storia completa senza cogliere i fatti sociali e i fenomeni di lunga durata. Volendo fare un esempio, un secolo complesso come il Cinquecento sarebbe impossibile da far comprendere se ci si limitasse a passare in rassegna le azioni belliche o a descrivere i rapporti tra Francesco I e Carlo V, senza prendere in considerazione fenomeni come la Riforma protestante, le esplorazioni geografiche, le tensioni sociali, la situazione economica europea, lo sviluppo dello stato moderno o la diffusione dei pensieri umanisti.

2. Dall’evento alla lunga durata

Da quanto emerso finora, la storia costruita sui grandi eventi e sui personaggi degni di fama rischia di ridursi a una semplice narrazione, che lascia poco spazio all’interpretazione. Quella complessità di cui si parlava poco fa, che è la vera essenza della Storia, è recuperabile se sostituiamo il tempo breve dell’evento al tempo lungo dei fenomeni e dei contesti. Marc Bloch, in Apologia della storia, sostiene con una robusta argomentazione che l’atmosfera nella quale opera lo storico è la durata. Se altre scienze sociali possono permettersi di sminuzzare il tempo in frammenti omogenei o di considerarlo come semplice unità di misura, per la storia il tempo è fondamentale, perché è il plasma nel quale i fenomeni esistono e costituisce la chiave della loro interpretazione.

Se per tutto l’Ottocento lo storicismo e il determinismo geografico basavano la visione del passato su una lenta ma costante evoluzione a senso unico della storia, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e dopo il crollo dell’Unione Sovietica l’orizzonte interpretativo muta e generalmente non si crede più in un progresso lineare e continuo. La Storia si sviluppa con ritmi differenti e lo storico è chiamato a leggere questi ritmi. Non basta più quindi aggrapparsi alle fonti documentarie e condurre studi superficiali legati agli eventi, ma serve la “lunga durata” (concetto di Gaston Roupnel, ripreso da Fernand Braudel), cioè il livello più profondo della realtà, dove trovano sede i contesti.

In questa prospettiva l’insegnamento della storia secondo il paradigma della lunga durata porta gli studenti a interrogarsi sui legami fra contesti ed eventi, superando una visione meccanicistica, la quale rischia di ridurre l’interpretazione del passato a una semplice catena basata su relazioni causali o temporali.

3. Questioni di metodo e di prospettiva: problematizzare la storia

Come passare dall’interpretazione storiografica all’azione didattica? Per esempio attraverso la problematizzazione. Normalmente, nella didattica tradizionale, la ricostruzione di un evento o di un fenomeno è data come un fatto, calata dall’alto, mentre lo studente, a valle, la riceve e la acquisisce come semplice conoscenza. Essa potrebbe invece essere il punto di arrivo di un percorso nel quale lo studente, reso protagonista, viene stimolato e guidato dal docente nel lavoro laboratoriale di studio di una fonte e di realizzazione di una artefatto autentico. Problematizzare significa porre lo studente di fronte a dei limiti e al contempo dargli la possibilità di lavorare con del materiale storico grezzo, sul quale esercitarsi per sviluppare competenze.

Bibliografia di riferimento

  • Bloch Marc, Apologia della storia o Mestiere di storico, Einaudi, Torino, 1998
  • Braudel Fernand, Storia misura del mondo, Il Mulino, Bologna, 1998
  • Simiand François, Méthode historique et Science Sociale, «Annales. Histoire, Sciences Sociales», 15 (1), 1960