Rossella De Luca - dirigente scolastico del Liceo Scientifico B. Rescigno di Roccapiemonte (SA) - ci racconta cosa ha cambiato, nella scuola che conosce, l'arrivo della didattica a distanza e come il primo spunto per la ripartenza debba venire dai contenuti.
Problematiche scolastiche Siamo alla fine di un anno scolastico davvero particolare, impegnativo, e soprattutto siamo tra un prima che non è più e un dopo che non è ancora, quindi in un momento di riflessione.
La didattica a distanza, almeno nel senso che stiamo dando in questo momento a questa definizione (perché poi la didattica a distanza è una metodologia su cui ci sono stati studi e ricerche e sperimentazioni già in passato, legate a contesti non emergenziali), ha evitato – a partire da marzo in poi – che la distanza fisica tra alunni e docenti si traducesse in distanza relazionale ed emotiva. Un po’ alla volta, pur nella constatazione delle diverse esperienze realizzate nelle singole scuole, perché è davvero impossibile fare un unico discorso sull’efficacia della DaD (che ha funzionato dove è stata fatta bene e non ha funzionato dove è stata fatta meno bene), un po’ alla volta, proprio mentre tutto il mondo si fermava, ogni realtà scolastica ha saputo, opportunamente guidata, darsi un’incredibile e imprevedibile accelerazione, soprattutto per quanto riguarda l’implementazione delle tecnologie nella didattica: alcune istituzioni scolastiche si sono trovate maggiormente preparate ad affrontare l’emergenza, in particolare quelle che avevano sperimentato strumenti e metodologie organizzative e didattiche innovative e che avevano già investito nelle tecnologie, altre hanno dovuto improvvisare una didattica a distanza con la quale non avevano mai avuto modo di rapportarsi. Tutte, però, hanno compiuto un notevole balzo in avanti sul fronte della pratica di strumenti digitali applicati ai diversi aspetti organizzativi, per poter dare risposte concrete ai bisogni formativi di alunni e studenti.
Ogni scuola a suo modo e a sua misura ha saputo trasformare la criticità del momento in opportunità di confronto e di crescita professionale, grazie anche al supporto della formazione in servizio che era già prevista nei mesi di marzo-maggio attraverso le opportunità erogate dagli ambiti e dalle singole scuole e che, a causa della particolare situazione, si è curvata principalmente su tecniche e risorse per la DaD, facendo scoprire che la scuola non è solo un luogo fisico, ma può anche essere uno spazio di apprendimento virtuale. La distanza forzata ha fatto emergere il bisogno di far rete tra le persone, di riconoscersi parte di una comunità, ha rafforzato il senso di appartenenza e questa condizione ha aiutato molti a scoprire che l’ambiente di apprendimento può non essere esclusivamente l’aula, ma comprende il soggetto che apprende e il luogo in cui apprende, che può anche essere una piattaforma, se usata in maniera adeguata e varia (non per sostituire la lezione frontale, intendo), ha aiutato anche a scoprire nuovi canali di solidarietà, di confronto professionale, di scambio, di sperimentazione di modelli gestionali innovativi (lo smartworking non era una novità per le pubbliche amministrazioni, ma lo è stato sicuramente per la scuola, in alcuni casi con esiti davvero apprezzabili).
Ora siamo arrivati al momento di pausa estiva, un momento che deve essere necessariamente di riflessione in vista della riapertura di settembre, che pure presenta numerose incognite: “La scuola”, diceva don Lorenzo Milani, “siede tra passato e futuro e deve averli entrambi presenti”: ci avviamo alla Fase 2 anche per la didattica a distanza, una fase che deve necessariamente tener conto di modelli pedagogici (perché la didattica a distanza è appunto una metodologia, che può essere e sicuramente d’ora in poi sarà anche integrativa) e anche di dimensioni cognitive, etiche e sociali.
Se questo è il tema, occorre dire che da tempo (almeno dal 1999 con l’autonomia e ancor più dal 2006 con la Raccomandazione del Consiglio europeo sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, aggiornate nel 2018) la scuola punta, con molte difficoltà e molte resistenze, a una didattica che non sia trasmissiva, ma aperta ad esperienze culturali multiple (formali, informali non formali), a una scuola che non sia AUDITORIUM, ma LABORATORIUM e soprattutto un laboratorio dialogante con il territorio, attraversato dal paradigma della flessibilità. La didattica a distanza per certi versi in molti contesti, soprattutto quelli più statici, ha rappresentato un momento di svolta, sia pur necessitata, in quanto necessariamente la tradizionale lezione frontale, da molti ancora praticata, ha dovuto modularsi su processi di apprendimento maggiormente attivi, flessibili, cooperativi, aperti alla relazione, alla sperimentazione, alla partecipazione, all’autonomia, resi ancor più efficaci dalle potenzialità della tecnologia diffusa: siamo stati tutti un po’ dentro un grande esperimento che ha aiutato molti a superare la paura del cambiamento (proprio per la necessità di un cambiamento) e ad andare oltre una didattica di tipo prevalentemente trasmissivo, ancorata a un sapere frontale e sequenziale, agita nel setting cattedra-banco, un’occasione per rivedere i paradigmi tradizionali dell’insegnamento e per spostare l’attenzione sull’apprendimento, nell’ottica della personalizzazione - appunto – degli apprendimenti e del raggiungimento dei traguardi di competenza previsti per il primo ciclo e dei risultati di apprendimento individuati per il secondo ciclo. Questo richiede ovviamente il superamento dell’idea della trasmissione della conoscenza, l’ampliamento della concezione di apprendimento, da realizzarsi anche attraverso l’utilizzo di pratiche didattiche innovative, e il ripensamento della valutazione, che non ha solo lo scopo di misurare le conoscenze apprese, ma anche e soprattutto quello di certificare le abilità e le competenze acquisite dall’alunno.
Se fare scuola - alla luce delle più attuali teorie pedagogiche - significa promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere, collaborare alla risoluzione di compiti e problemi, scambiarsi pareri e punti di vista, incoraggiare un ambiente collaborativo, costruire relazione e appartenenza, imparare a confrontarsi e rispettare le opinioni degli altri, negoziare idee e concetti, costruire insieme la conoscenza, anche attraverso una piattaforma in questi mesi dirigenti e docenti sono riusciti a tener viva una comunità di apprendimento e soprattutto una comunità educante.
Tra le tante esperienze di didattica a distanza che la “mia” scuola ha realizzato vorrei ricordare, ad esempio, la partecipazione a Databanc Art per le scuole e in particolare alla mostra regionale Desiderio d’arte, promossa dall’USR Campania e dal Distretto ad alta tecnologia per i beni culturali. Cito questa esperienza per parlare dell’impegno e della passione della docente (e di tanti altri docenti) che hanno seguito i ragazzi, non del lavoro che è stato realizzato (i lavori non sono stati ancora valutati dalla giuria e pertanto non posso fornire dettagli), per dire come dal momento che abbiamo vissuto e in stretta relazione con esso è stato possibile far nascere occasioni di riflessione sul nostro patrimonio culturale, unico al mondo, sull’idea dell’arte come medicina dello spirito ma anche come si sia potuta stimolare in tanti modi, sia pur a distanza, la creatività degli studenti in settori - quale appunto quello dei beni culturali - che possono rappresentare un’occasione di affermazione nel mondo del lavoro.
Forse proprio da qui dovrebbe venire il primo spunto per la ripartenza: una ripartenza dai contenuti. Ripartiamo con un’idea di futuro, avendo proprio come orizzonte la complessità del futuro, torniamo a pensare alla sostanza dell’azione educativa. Ripartiamo proprio dal rifondare un’idea di cittadinanza, in cui si pensa a livello globale e si agisce a livello locale, e ricominciamo a occuparci di prospettive sostenibili, magari con un occhio alle Future works skills per il 2020 (pensiero computazionale, pensiero adattivo, intelligenza sociale, transdisciplinarità, mentalità orientata al design, gestione del carico cognitivo, capacità di collaborare in ambienti virtuali).
Raccogliendo la proposta della legge che introduce l’educazione civica nelle scuole dal prossimo anno, puntiamo sulla ricostruzione del tessuto ambientale, sociale ed economico del pianeta, cerchiamo di educare alla sostenibilità e di contribuire alla riduzione delle disuguaglianze sociali e al contenimento dei danni ambientali: cerchiamo di passare dalla conoscenza di diritti e regole alla maturazione di una consapevolezza dei propri comportamenti e soprattutto dell’impatto globale del proprio stile di vita.
Questo dovrebbe essere un punto di riferimento imprescindibile per la scuola, se vogliamo tracciare un nuovo orizzonte culturale da cui far discendere nuove pratiche virtuose per ripartire, in un’ottica di sostenibilità, nella condivisione delle responsabilità, dall’esigenza di valorizzare le relazioni e il senso dell’appartenenza, nel tentativo di arginare l’individualismo e lo scetticismo.
Grazie a questo momento (in questo caso parlo della mia esperienza di dirigente scolastico, nonché dirigente di una scuola polo della formazione) hanno avuto largo spazio e un seguito maggiore rispetto agli anni precedenti la attività formative volte a sperimentare metodologie innovative (flipped classroom, problem solving, cooperative learning, peer tutoring, coding…) per privilegiare la costruzione della conoscenza, la realizzazione di compiti autentici, la moltiplicazione dei mediatori didattici. In questi mesi, a livello nazionale, si sono registrate numerosissime iniziative formative, convegni nazionali e internazionali sulle metodologie didattiche innovative e soprattutto su quelle inclusive,per coinvolgere gli studenti a rischio di fallimento formativo, che vivono situazioni di povertà educativa, che sperimentano insuccessi ripetuti, che non dispongono di una rete sociale extrascolastica, perché sappiamo bene che il vero grande problema della didattica a distanza è lasciare indietro gli studenti che più necessiterebbero di scuola. Abbiamo 270.000 alunni disabili… che pongono alla scuola una domanda più complessa di aiuto educativo e di sostegno didattico e necessitano più di ogni altro di una particolare attenzione, perché mutamenti improvvisi in ambito relazionale, soprattutto per alcune patologie, possono interromperne l’evoluzione e lo sviluppo psico-fisico: una proposta valida potrebbe essere quella di aprire le scuole almeno per loro, se a settembre non fosse possibile aprirle per tutti, perché la scuola è e deve essere per tutti gli studenti ma per questi in particolare uno spazio inclusivo, accogliente, ricco di stimoli, dotato di una strumentazione multimediale che spesso a casa scarseggia, perché sicuramente è un antidoto alla loro condizione di esclusi.
Come recentemente sostenuto in un articolo da Luciano Rondanini, il curricolo (che è la carta di identità delle singole scuole) dovrà avere due fondamentali caratteristiche: la leggerezza e la profondità. Leggerezza, nel senso dell’irrinunciabilità dei saperi che contano nell’esperienza di crescita dell’alunna/o. Profondità: l’alleggerimento dei contenuti dovrà essere accompagnato dalla possibilità di imparare fuori dalle aule scolastiche, nei luoghi dove le conoscenze e le competenze ogni giorno si costruiscono e si rinnovano. Quello che noi possiamo ragionevolmente sperare è una scuola che finalmente sappia dispiegare la propria azione educativa e didattica nelle numerose “aule decentrate” che i nostri territori custodiscono, laddove ovviamente ci sono e soprattutto laddove gli enti locali sapranno e vorranno collaborare con le istituzioni scolastiche, condividendone le finalità e soprattutto le responsabilità.
La vera sfida nei prossimi mesi, come sosteneva Proust, sarà
"un vero viaggio, che non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi."