In questa intervista Alessio Castiglione, pedagogista e ricercatore, ci ha raccontato del progetto "Edu-social Algorithm" e di come i social network possano diventare uno strumento di conoscenza attiva e generativa.
Esperienze di insegnamento In ambito educativo spesso alcuni pregiudizi sui social network ci impediscono di vederli per quello che sono: piattaforme, contenitori che, in base ai contenuti che si decide di inserire, si modificano e possono anche diventare un “contenitore didattico”. Secondo Alessio Castiglione, ideatore del progetto Edu-social Algorithm, è questione di creatività e di volontà di sperimentare pratiche inedite di insegnamento attraverso i social e gli ambienti digitali.
Ogni materia e argomento si può trattare con questi strumenti, l’importante è che i docenti si mettano in gioco e si aprano a un aggiornamento delle metodologie di insegnamento secondo le coordinate che le ultime ricerche sociologiche hanno individuato per la Generazione Alpha, e che Castiglione ha approfondito in questo articolo: serve cioè una didattica che sia digital, mobile, visual, social e global.
Il progetto nasce due anni fa, durante il lockdown, in un momento di stasi in cui il digitale era diventata l’unica via di fuga o di relazione con il mondo esterno. Siamo passati dalla teoria alla pratica in modo molto graduale: all’inizio non ero del tutto convinto dei risultati, perché intorno al mondo dei social network e degli smartphone ci sono molte resistenze. La validità del progetto è stata attestata dalle persone che ci hanno creduto. Dirigenti scolastici, docenti e studenti si sono messi nelle condizioni di ricercatori, perché non avevo un modello metodologico predefinito, ma l’abbiamo creato insieme secondo il modello della ricerca azione / ricerca intervento derivata dalla psicologia di comunità.
Ognuno ha portato le sue esperienze personali e professionali: i docenti hanno via via apportato modifiche, sviluppi e idee arricchenti, così che da una prima resistenza si è passati a una conversione didattica che li ha visti diventare promotori e pionieri di una nuova era, in cui i social non sono più considerati elementi di distrazione ma strumenti funzionali ai processi di apprendimento. Siamo partiti lavorando con le classi terze della secondaria di I grado, accompagnando ragazzi e ragazze che hanno raggiunto l’età anagrafica formale per l’utilizzo dei social a scoprire questo mondo che può presentare dei rischi, ma anche molte potenzialità.
La variabile è quanta intenzionalità pedagogica viene messa nel progetto didattico che stai sviluppando: post, reel, hashtag diventano allora elementi a servizi della didattica. In che modo? Si costruisce una vera e propria comunità di pratiche virtuali, come la intende Étienne Wenger: a partire da dominio comune, in questo caso nella forma Edu_nome_cognome, si aprono degli account didattici su Instagram e si crea così un network e un algoritmo fatto solo di contenuti media educativi.
Tutto ciò che è prodotto in questi account riguardacio argomenti trattati a lezione, trasformati in contenuti di Instagram. Questa piattaforma è funzionale perché, invece di fare un compito scritto, gli studenti possono realizzare contenuti digitali collegando un’immagine appropriata a un testo legato al tema studiato.
L’efficacia sta nella misura: non dobbiamo sostituire quello che finora ci è servito, ma addizionare a questo set didattico anche lo strumento smartphone e l’ambiente digitale dei social network, scegliendo spazi e tempi adeguati. Possiamo usare Instagram per un rinforzo di argomenti già trattati, per fare post di approfondimento, oppure il docente può anticipare i temi della lezione caricando nel suo profilo educativo dei contenuti.
L’importante è creare una relazione di fiducia tra insegnanti e studenti e condividere una netiquette, cioè regole per vivere insieme nello spazio digitale. Decostruire una certa narrazione sui social può essere il primo passo per avviare davvero una trasformazione didattica: Edu-social Algorithm ha coinvolto finora 130 studenti, tra cui quelli portoghesi di una scuola di Braganza che lo scorso anno si è unita al progetto. Anche l’inclusività, come credo debba essere in tutti i progetti di ricerca, è uno degli aspetti del progetto: abbiamo chiesto agli insegnanti di sostegno di realizzare sui loro profili un racconto del lavoro svolto con gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento o bisogni speciali, in modo da mostrare anche alle famiglie e in modo trasparente e diretto le attività svolte e le competenze raggiunte insieme.