Un approfondimento di Lorenzo Fariselli, direttore Six Seconds Europa, sulla necessità di educare all’Intelligenza Emotiva per migliorare il nostro futuro.
Metodologie Nel dibattito contemporaneo sull’universo scuola c’è una diatriba ricorrente: da un lato, c’è chi sostiene che la scuola debba preparare al lavoro; dall’altro, chi crede che il suo compito sia quello di preparare alla vita non considerando l’aspetto professionale. Il dibattito è cruciale ma credo manchi un elemento: cosa intendiamo con “lavoro” e che cosa con il termine “vita”?
Oggi i dati relativi alla salute mentale dei lavoratori sono preoccupanti e i livelli di stress e burnout senza precedenti. In Italia, solo il 5% dei lavoratori si dichiara coinvolto nel proprio lavoro, un dato che rappresenta un allarme non solo per le aziende, ma per l’intero sistema educativo e sociale. Il costo di questa disfunzione è enorme, con una perdita stimata di 273 miliardi di euro, pari al 18% del PIL nazionale (secondo il report State of the Global Workplace, Gallup, 2024). Si sa bene che poi, una volta a casa, questo affaticamento psico fisico non scompare, e lo stesso vale per l’insoddisfazione e lo stress che rubano energia rendendo affannato il ritmo delle nostre vite.
Nell’era dell’intrattenimento superficiale dei social che allontana dalla profondità e della corsa a un risultato immediato che demonizza i processi di lenta ma costante maturazione del singolo, a cosa dovrebbe preparare la scuola?
Un primo passo nell’analisi di questa tematica è superare l’approccio polarizzato che mette due correnti di pensiero l’una contro l’altra. Del resto, la sfida oggi non è proprio quella di tenere insieme posizioni apparentemente distanti, per sfuggire a uno sterile conflitto? E allora, che cosa unisce queste due posizioni? Azzardo una risposta: la scuola è una soluzione alla sfida, posta alle nuove generazioni, di costruire un futuro migliore del nostro presente.
Galimberti, in una conversazione con Antonio Alizzi sull’Età della tecnica del novembre 2023, traccia un quadro inquietante della società contemporanea, evidenziando come il lavoro sia diventato sempre più disumanizzante. Egli ricorda il pensiero di Günther Anders, secondo cui l’età della tecnica, iniziata con il nazismo, ha inaugurato una mentalità che pone l’efficienza e la funzionalità sopra ogni altro valore. Questa mentalità tecnica è ben esemplificata dalla testimonianza di Franz Stangl, comandante del campo di concentramento di Treblinka, che racconta come il suo compito fosse solo quello di far funzionare un sistema, senza preoccuparsi delle conseguenze umane delle sue azioni. Stangl, nell’intervista a Gitta Sereny, afferma di non capire perché insista a chiedergli cosa provava mentre faceva ciò che faceva. Lui non era incaricato di provare qualcosa, ma di far funzionare un sistema, il che lo rendeva un “ottimo funzionario”.
Questo approccio meccanicistico al lavoro non è confinato a episodi storici estremi, ma pervade la nostra società. È la stessa mentalità che rende il rispetto del “programma scolastico” l’obiettivo primario, a scapito della comprensione profonda delle materie o della crescita personale di studenti e studentesse. Si manifesta quando la scuola si limita a preparare a “fare bene” un compito senza considerare il significato di quel compito o il suo impatto sulla società e sulla persona. Questa impostazione del mondo scuola che non invita a coltivare una riflessione etica e una consapevolezza emotiva, rischia di formare futuri lavoratori che replicano questo approccio tecnico e disumanizzante, diventando ingranaggi di un sistema produttivo che privilegia l’efficienza a scapito dell’umanità.
La scuola deve preparare alla nobiltà dal punto di vista morale, etico. Ha il compito di preparare a un futuro che nobiliti, che valorizzi l’individuo e contribuisca al benessere collettivo. È necessario un ripensamento radicale del rapporto tra educazione e futuro che si focalizzi sulla formazione integrale della persona attraverso l’Intelligenza Emotiva, un insieme di competenze allenabili capaci di mettere al centro la saggezza delle nostre emozioni per raggiungere obiettivi nobili.
Tuttavia i giovani della Generazione Z, che hanno da poco iniziato a lavorare, sono già esposti a tassi di burnout significativamente più elevati rispetto alle generazioni precedenti (secondo il report State of the Heart 2024, Nuovi Dati sull’Intelligenza Emotiva, sul benessere e sulla recessione emotiva, Six Second). Questo fenomeno è in parte dovuto a una crisi di salute emotiva che coinvolge molti giovani, esacerbata dalla solitudine e dall’isolamento sociale. Una delle principali cause di questo disagio èla mancanza di competenze emotive fondamentali come lacapacità di navigare le emozioni, perseguire obiettivi nobili e trovare la motivazione intrinseca, tre competenze in forte calo. Queste abilità, fondamentali per una vita lavorativa soddisfacente e sostenibile, non vengono adeguatamente sviluppate né nel contesto scolastico né in quello lavorativo.
Per affrontare questa crisi, è necessario che la scuola ripensi radicalmente il suo approccio alla formazione con l’obiettivo di diventare un luogo dove non si imparano solo nozioni tecniche, ma dove si sviluppano competenze umane profonde, come l’Intelligenza Emotiva. L’Intelligenza Emotiva è la chiave per accedere alla saggezza delle nostre emozioni, per comprendere e gestire meglio le dinamiche sociali e per costruire relazioni di lavoro più sane e produttive.
Le aziende, dal canto loro, devono immediatamente rendersi conto del ruolo che giocano in questo sistema. È necessario creare ambienti che supportino veramente le persone, aiutandole a trovare un equilibrio tra vita professionale e personale, e che valorizzino le competenze emotive tanto quanto quelle tecniche. Il cambiamento deve partire dalla scuola, ma deve coinvolgere l’intera società. Se vogliamo che i giovani siano preparati per un mondo del lavoro che nobiliti e non distrugga, dobbiamo ripensare il modo in cui educhiamo e formiamo le nuove generazioni. Dobbiamo iniziare a vedere il lavoro come un’opportunità per esprimere il proprio potenziale, contribuire al benessere collettivo e costruire un futuro migliore per tutti.
In questo contesto, è fondamentale che la scuola diventi il luogo in cui i giovani imparano a essere. Possono imparare a comprendere le proprie emozioni, a gestire lo stress, a trovare la motivazione dentro di sé, e a lavorare con gli altri in modo costruttivo e cooperativo. Gli insegnanti devono poter permettersi il “lusso” di fermare la didattica se emergono problemi significativi nel gruppo classe così da affrontarli e risolverli. Questi momenti, oltre che utili alle performance scolastiche, rappresenteranno la palestra a ciò che realmente conta nella vita: la nostra umanità. Solo così potremo creare una generazione di lavoratori e lavoratrici che individui consapevoli e responsabili, capaci di contribuire positivamente alla società. Oggi abbiamo bisogno di un focus privilegiato e scientificamente basato su quelle competenze che permetteranno alle nuove generazioni di costruire un futuro nobile: le competenze dell’Intelligenza Emotiva.