Un articolo della Dott.ssa Chiara Caligari, Logopedista, Analista del Comportamento, BCBA, Coordinatrice didattica del master Autismo presso il Consorzio Universitario Humanitas, Presidente dell’associazione WonderEdu.
Metodologie  Inclusione Molti bambini e ragazzi con autismo presentano difficoltà di linguaggio associate alla diagnosi primaria. Il disturbo di linguaggio non costituisce un criterio diagnostico per l’autismo, ma è definito “specificatore” della diagnosi accanto al profilo cognitivo. La difficoltà di linguaggio può presentarsi a diversi livelli, di cui, il più basilare è la coarticolazione delle parole.
Comunicare e parlare sono due cose diverse e molti bambini raggiungono un discreto sviluppo della comunicazione, anche senza aver mai parlato. Rose e colleghi (Rose et al., 2016) definiscono minimally-verbal quei bambini che producono tra le 5-15 parole intellegibili solo al nucleo familiare più stretto, cioè i genitori o chi passa buona parte della quotidianità con il bambino e ha quindi la possibilità di imparare a interpretare le sue produzioni. Questi bambini solitamente sanno articolare poche consonanti, ossia possiedono un basso repertorio consonantico, e pronunciano le vocali in modo non chiaro rendendole poco distinguibili le une dalle altre, caratteristiche che ritroviamo anche in quadri di disprassia verbale del tipo CAS (Childhood Apraxia of Speech, ASHA).
Quando devono pronunciare insieme consonanti e vocali per produrre delle sillabe, o mettere insieme delle sillabe per dire delle parole, ossia quando devono coarticolare, i suoni diventano meno accurati: in alcuni casi i suoni vengono sostituiti, in altri omessi e spesso le sillabe vengono pronunciate separatamente all’interno delle parole.
Dire le parole sillabandole, ossia effettuare una segregazione sillabica, è più semplice per questi bambini. La sillabazione porta a un alleggerimento del carico di programmazione ed esecuzione articolatoria, nello specifico permette al bambino di non dover gestire le transizioni, ad esempio, tra una vocale e la consonante successiva.
Se coarticolare una parola è come una danza, sillabare una parola è come ballare separando i singoli passi che compongono la coreografia. Lo spettatore della danza non sarà in grado di coglierne il senso, proprio come l’ascoltatore della parola non sarà in grado di capire quello che è stato pronunciato.
Da una tesi di laurea di Daddio (Daddio, 2022), su un campione di 25 bambini autistici di età compresa tra 3,6 a 14 anni, emerge che la sillabazione è uno dei fattori che impatta maggiormente sull’intelligibilità della parola. Daddio ha analizzato un campione di parole in ripetizione e denominazione con doppio metodo, trascrizione fonetica con IPA e analisi acustica con PRAAT. L’autrice ha poi isolato 10 parole con alcune alterazioni prosodiche peculiari e ha sottoposto la registrazione audio di queste parole isolate dal contesto a 20 uditori non familiari con il bambino. Lo scopo di questo test era quello di valutare quali parametri di alterazione prosodica fossero maggiormente interferenti con la capacità dell’ascoltatore di capire ciò che era stato comunicato.
La sillabazione è risultato uno dei tre fattori più invalidanti accanto alla durata consonantica nelle geminate, ossia le parole con le doppie (nello specifico consonanti occlusive come p, t, k).
Nell’immagine è possibile vedere l’analisi acustica con PRAAT della parola “farfalla” prodotta cosillabazione [’fa..’fa’l:a’].
La letteratura suggerisce alcuni strumenti per affrontare la difficoltà di coarticolazione. In alcuni casi è necessario l’utilizzo di physical prompt, o prompt di guida fisica che possano guidare fisicamente gli articolatori, per esempio la mandibola o le labbra del bambino, nell’effettuare la transizione tra una sillaba e quella successiva senza “interrompere” la voce o effettuare delle traiettorie poco efficienti.
Con alcuni bambini è efficace l’uso del chaining (Tarbox et al., 2009) che è una procedura di modeling in cui la parola viene segmentata e poi ricomposta grazie all’uso di intrastimulus prompt (facilitazioni interne allo stimolo) che sottolineano le caratteristiche di passaggio tra una sillaba e quella successiva. Una ricerca su soggetto singolo (Caligari, 2007) su un bambino autistico di 7 anni ha applicato la procedura del chaining basandola su un principio di accentazione.
In questo studio sono state applicate procedure di forward chaining (concatenamento anterogrado) o backward chaining(concatenamento retrogrado) a un gruppo di parole composte da tre sillabe con accento lessicale piano e sdrucciolo.
La procedura è risultata efficace e progressivamente più efficiente raggiungendo dopo 14 sessioni di logopedia l’ecoico generalizzato di parole trisillabe piane e sdrucciole. Per ecoico generalizzato si intende la capacità di ripetere correttamente una nuova parola mai insegnata prima, con poche prove di insegnamento, es. una o due occasioni di ripetizione.
Nella figura tratta da Caligari (2017), è possibile osservare l’acquisizione delle parole target; alla quattordicesima sessione tutte le parole risultano acquisite dal bambino.
Il chaining sembra essere una procedura di insegnamento dell’analisi applicata del comportamento, ben utilizzabile per l’insegnamento di parole più lunghe e complesse. È una procedura definita a basso sforzo e di tipo errorless-teaching, (Sweeney-Kerwin et al., 2006) ossia un apprendimento che limita il numero di prove errate poiché insegna al bambino come imparare.
Applicazioni del chaining sono già utilizzate in alcuni programmi di insegnamento per la disprassia verbale (Kaufman, 1998) e sono in fase di pubblicazione per la lingua italiana (Caligari & Mazzarini in press).