Dire, fare, insegnare
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Lo spazio, la scuola o lo sviluppo cognitivo

Asteria Bramati, docente esperta di neuropedagogia, spiega il ruolo del contesto esterno e dello spazio nello sviluppo cognitivo.

Metodologie 
23 ottobre 2023 di: Asteria Bramati
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I confini tra il "noi" e il "loro" hanno catturato a lungo l'interesse umano. Da un lato gli scienziati sociali continuano a studiare il valore di una vasta gamma di confini in un'epoca in cui la natura del lavoro sta cambiando, dall'altro lato gli studiosi dell'organizzazione inquadrano sempre più i confini come barriere all'interazione che dovrebbero essere estese o permeate per aumentare la collaborazione (1). L'esempio saliente e concreto, sono i confini spaziali del posto di lavoro o della scuola, come le pareti di uffici o delle aule, che vengono rimossi per creare uffici aperti e stimolare la cooperazione e l’intelligenza collettiva.

A scuola la dimensione spaziale deve essere oggetto di maggiori riflessioni pedagogiche. In particolare, riflettere sullo spazio significa riflettere su un elemento che costituisce la necessaria premessa per realizzare un apprendimento efficace. L’ambiente condiziona in modo potente il lavoro di chi insegna e di chi apprende, perciò un contesto vecchio, non curato, poco accogliente rischia di generare alienazione. Invece, c’è bisogno di costruire un contesto motivante, cioè bello. Si può ipotizzare che per spiegare l'agire umano, compreso quello scolastico, è necessario specificare il più possibile le circostanze in cui esso avviene, ovvero il contesto. Per i fautori delle teorie psicologiche (Piaget, Vigotskij) lo sviluppo dipende dall'interazione tra l'ambiente e l'individuo, ma il modo in cui tale interazione agisce è radicalmente diverso per gli autori.

In pedagogia negli ultimi annisi sta però aprendo un nuovo modo di concepire il contesto che punta a esplorare le relazioni tra conoscenza e azione nelle particolari circostanze in cui avvengono. In questo senso l'azione si configura come l'adattamento plastico alle particolarità delle situazioni e delle circostanze. L'apprendimento diventa così situato, cioè, una costruzione di conoscenza in e con contesti diversi; quindi non ci si occupa di acquisire di sapere, ma, dello studio delle dinamiche attraverso cui le persone costruiscono un significato condiviso nel contesto attraverso le azioni svolte in esso.



Tutto questo avviene poiché il nostro cervello è plastico e si adatta continuamente al contesto. Si parla di plasticità neuronale, indicando il fatto che il cervello umano è in grado di produrre costantemente neuroni e connessioni influenzate delle esperienze e dai luoghi in cui si vivono le esperienze. La plasticità implica la formazione di nuovi punti di contatto tra neurone e neurone (sinapsi) e la ristrutturazione delle reti nervose sulla base dell'esperienza. Gli scienziati sottolineano che l’“espressività genica” di una persona è l'influenzata in modo cruciale dai fattori ambientali; dagli apprendimenti e quindi dai fattori educativi che modificando strutturalmente e funzionalmente il cervello. Ci sono due elementi fisiologici che giocano un ruolo decisivo per permettere al cervello di godere di tale plasticità.

Il primo di questi fattori è il numero di neuroni che crescono nel corso della vita di un individuo (neurogenesi). Il cervello ha una caratteristica particolare rispetto agli altri organi: le cellule nervose si scambiano messaggi tra loro e tale scambio dipende dalla presenza di itinerari tracciati e consolidati dall'esperienza.

I più recenti studi di neuroscienze ci indicano che lo sviluppo del cervello, in quanto dotato di plasticità, varia da individuo a individuo e il processo di maturazione non segue in tutti noi un percorso rigido, anzi è dinamico e influenzato dall'ambiente in cui viviamo. Lo scienziato Daniel Geschwind sottolinea che il comportamento di una persona è frutto della combinazione tra l'ambiente in cui viviamo e i geni, e quest'ultimi giocano un ruolo molto importante nel definire lo sviluppo del cervello. I geni interagiscono con l'ambiente durante lo sviluppo della struttura celebrale, influenzando in base alle esperienze vissute i continui cambiamenti strutturali a cui il cervello va incontro.

Le maggiori differenze tra i cervelli delle persone, studiate attraverso l’imaging e le risonanze magnetiche, non si trovano nelle aree coinvolte nelle percezioni primarie (vista, udito, funzioni motorie) ma nella corteccia prefrontale o frontale, che riguarda il pensiero astratto, il ragionamento critico, la socialità, la personalità. Lo sviluppo celebrale varia da individuo a individuo in base alle esperienze ma è sempre più evidente dai dati epidemiologici che il corpo continua a evolversi anche dopo i vent’anni. Dunque lo sviluppo dipende dalle esperienze vissute durante l'infanzia e l'adolescenza, ma anche dal momento successivo.

Gli studi sulle neuroscienze sulle fasce di età più giovani ci confermano che “il cervello che pensa” (cognitivo) è molto più immaturo del “cervello che sente” (emotivo). Per questo le loro azioni sono orientate alla ricerca di emozioni. David Elkind, sottolinea che l'obiettivo dell'intervento educativo è quello” di riallineare i due cervelli, cognitivo ed emotivo , così che ogni persona giovane sappia sfruttare al meglio le proprie potenzialità cognitive.

Questo scopo può essere realizzato considerando che gli effetti di una buona educazione non si vedono nell'immediato, ma sui lunghi tempi. I sistemi educativi, per ragioni pratiche, però tendono a concentrarsi sui gruppi-classe e non sui singoli soggetti. Non si considera che il cervello progredisce lungo itinerari singoli che si sviluppano nei corsi dei decenni della vita; il processo di maturazione celebrale varia da persona a persona.

Un ragazzino a 12 anni può avere delle grandi difficoltà a studiare più lingue o in matematica, per poi a 25 maturare e sviluppare delle abilità in questi settori del sapere. In base a queste considerazioni la scuola deve diventare un luogo che superi i modelli di intervento tradizionali, per promuovere una psicologia dell'educazione basata sull'idea di scuola come contesto culturale, fortemente intrecciato con altri contesti quali la famiglia, la cultura mediatica e del mondo del lavoro. Lo spazio (fisico e mentale) è quindi cruciale per dare senso all'agire educativo.

Riferimenti bibliografici

(1) E. S. Bernstein, S. Turbante, L'impatto dello spazio di lavoro "aperto" sulla collaborazione umana, in Philosopchail Transactions of the Royal Society - Biological Sciences, 2 luglio 2018