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Lo specchio. Una riflessione sul ruolo di guida dei docenti in rapporto alle nuove tecnologie

Asteria Bramati, docente esperta di neuropedagogia, ha condiviso con noi la sua riflessione sul rapporto fra docenti e studenti, partendo dal simbolo dello specchio, declinato in senso metaforico e scientifico.

Esperienze di insegnamento 
05 ottobre 2021 di: Asteria Bramati
copertina

“L'anima dell'uomo è come un caleidoscopio, lo possiamo girare, vedere i colori che cambiano, ma non possiamo conoscere uno ad uno i mille pezzetti di cui è formato.”

(Romano Battaglia, scrittore italiano 1933 - 2012)

Fin dai tempi più antichi, una stretta connessione ha legato lo specchio e l'identità dell'individuo.

La modernità e le più recenti tecnologie hanno rifondato l’immagine dell’uomo contemporaneo: l'individuo non più inteso come soggettività-individualità, non portatore di dominio e certezze, ma, dotato dell’opportunità di svelarsi quale soggetto in farsi.

È su questi presupposti che emerge con maggiore evidenza la valenza educativa dello specchio, un dispositivo che non è solo emblema di identità e simmetria, ma, che testimonia la natura dinamica del nostro farsi. I più importanti studi sullo specchio-pedagogico sono stati compiuti da Winnicott che ipotizzò che il precursore dello specchio, nello sviluppo emozionale dell’individuo, fosse il volto materno (1).

Il concetto di specchio viene ripreso anche dalle neuroscienze, in particolare dagli studi di Rizzolati e Gallese sui neuroni specchio (2). Quest'ultimi godono di quella che Rizzolati chiama proprietà mirror, cioè, la capacità di trasformare le rappresentazioni sensoriali concernenti il comportamento altrui nelle rappresentazioni e nei processi che chi osserva recluterebbe se fosse lei o lui a esibire quel tipo di comportamento (3). Questa capacità dipende dalla capacità insita in ognuno di noi di rappresentare, indipendentemente dalla modalità sensoriale usata, i possibili scopi dell'azione. Questo coinvolgimento è tale che le aree celebrali coinvolte non riguardano solo l'area della corteccia motoria e pre-motoria, ma, anche quelle del cervello emotivo (insula, amigdala, cingolo). Questo significa che i neuroni-specchio hanno un ruolo distintivo nella comprensione delle azioni, delle emozioni e delle forme vitali altrui (4). Sono i meccanismi di rispecchiamento presenti nel nostro cervello che ci permettono di capire che “se una stretta di mano è energica”, o “se un sorriso di una persona è semplicemente accennato” (5).

Una cosa è però identificare il tipo di emozione provato da una persona, un’altra è dar conto del perché quell'individuo, con quel tipo di carattere e di stato di animo, abbia potuto provare quel tipo di emozione in relazione a quella data situazione (6). Per fare questo, secondo Rizzolati, bisogna comprendere dall'interno (unterstanding from the inside), cioè, catturare tramite la capacità mirror le “componenti intrinseche” dell'azione osservata. Tale comprensione dall'interno va intesa, non soltanto nell'uso di rappresentazioni coinvolte nell'agire o nel provare emozioni in prima persona, ma anche quando tali rappresentazioni possono plasmare l'esperienza che si dà a un'azione o una emozione quando la si osserva compiuta da qualcun altro (7).

Questa capacità mirror dovrebbe essere più sfruttata a scuola, in quanto spesso l'azione educativa degli insegnanti, anche se guidata dalla simpatia nei confronti dei propri alunni, non è centrata-entrata nell'azione dei discenti. Da qui la necessità che il maestro diventi uno specchio dei vissuti dei propri studenti, in cui essi possano ritrovare le proprie emozioni e sentimenti e plasmare, tramite la loro capacità-mirror, le loro esperienze. Tale capacità di comprensione degli insegnanti, lungi dal dipendere esclusivamente da competenze mentalistico-linguistiche, è fortemente dipendente dalla natura relazionale dell'azione che si instaura con i propri studenti. È' possibile comprendere direttamente il senso delle azioni di base altrui grazie ad un’equivalenza motoria tra ciò che gli altri fanno e ciò che può fare l’osservatore. Lʼintercorporeità diviene così la fonte principale di conoscenza che abbiamo degli altri (8). Ma se in passato lo spazio e il tempo dell'azione didattica era delimitato (e limitato), oggi l'uso delle nuove tecnologie accrescela complessità del quotidiano, al punto tale “che la tecnologia aumenta la nostra corporeità (Braidotti, 2018)” (9). Nell'attuale società “la relazione tra l'umano e l'altro tecnologico è cambiata per toccare livelli senza precedenti di prossimità e interconnessione tramite simulazioni e modificazioni reciproche” (Braidotti, 2018) (10). Tuttavia gli insegnanti non devono mistificare le nuove tecnologie, ma “coglierne le nuove opportunità per accrescere l'umano che è in noi” (Floridi, 2019) (11). I nuovi dispositivi sono uno spazio-tempo intenzionalmente predisposto per supportare un cambiamento soggettivo (dell'alunno) e dipendono dalle prospettive con cui chi progetta (l'insegnante) guarda a un problema. Il carattere virtuoso o no delle pratiche digitali è una questione di dosaggio e di volontà.

I giovani però spesso, si accostano all'uso delle nuove tecnologie da soli senza l'aiuto-ausilio dell'insegnante, rimanendone “abbagliati” come Narciso. Il computer diventa così lo specchio della mente che li incanta con la sua immagine riflessa, proprio come accade per Narciso che, ipnotizzato dal proprio riverbero nell'acqua tanto da non sentire più l'amore di Eco, venne trasformato in una pianta a ridosso di quel laghetto dove potrà veder riflessa per sempre la propria immagine (12).

Le nuove tecnologie sono diventate un mezzo per esternalizzare parecchie delle nostre funzioni mentali, spesso, però a scapito dello sviluppo cognitivo e psicologico delle facoltà più importanti dell'individuo quali la meta-riflessione, l'attenzione prolungata, il silenzio interiore. Si perde l'interezza e la completezza della persona e tale perdita oblitera il riconoscimento della nostra natura originaria. A questo punto, la mente non può far altro che simulare l'interezza perduta costruendo una personalità-ego tramite i social in cui sempre, più spesso, i giovani si rifugiano. Come Narciso, i ragazzi si lasciamo intorpidire da tale immagine riflessa della mente convinti di vedere ciò che, in realtà, non sono. In questo contesto, il ruolo dell'insegnante diventa quello di essere di un caleidoscopio: ogni scolaro tramite la figura dell'adulto-maestro deve specchiarsi e rivedere sé stesso come in caleidoscopio che riflette un arcobaleno di colori ed emozioni.

(1) Cfr.https://it.wikipedia.org/wiki/Donald_Winnicott

(2) Cfr.https://it.wikipedia.org/wiki/Neuroni_specchio

(3) Cfr. G. Rizzolati, Specchi nel cervello, ed. Cortina, 2019

(4) Il concetto di forme vitali é stato formulato da Daniel Stern riferendosi a quegli aspetti che caratterizzano la dinamica di un'azione o di una reazione emotiva. Cfr. G. Rizzolati, op. cit

(5) Cfr. G. Rizzolati, op. cit

(6) Cfr. G. Rizzolati, op. cit

(7) Cfr. P. C. Rivoltella e G. Rossi, Il corpo e la macchina, ed. Morcelliana, 2019

(8) Cfr.Vittorio Gallese “Il Corpo non mente. Le neuroscienze cognitive e la genesi di soggettività ed intersoggettività” https://www.academia.edu/4863264/Gallese_V._2013_Corpo_non_mente._Le_neuroscienze_cognitive_e_la_genesi_di_soggettivit%C3%A0_ed_intersoggettivit%C3%A0._Educazione_Sentimentale_20_8-24._DOI_10.3280_EDS2013-020002

(9) Rosi Braidotti (1954) è una filosofa e accademica italiana, cresciuta in Australia. Insegna nei Paesi Bassi, all’Università di Utrecht, dal 1988. È tra le principali autorità per gli studi sul tema della soggettività e del postumano, soprattutto in relazione alle prospettive neofemministe. Tra i suoi libri pubblicati in italiano: Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernità (1995); In metamorfosi. Verso una teoria materialistica del divenire (2003); Madri, mostri e macchine (2005); Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte (2014) Cfr. P. C. Rivoltella e G. Rossi,op. cit

(10) Cfr. P. C. Rivoltella e G. Rossi, op. cit

(11) Luciano Floridi è un filosofo italiano naturalizzato britannico, professore ordinario di filosofia ed etica dell'informazione all'Università di Oxford presso l'Oxford Internet Institute, dove dirige il Digital Ethics Lab.