Dire, fare, insegnare
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Mandragole, patate e altre piante... mortali

In questa lezione interdisciplinare ispirata al mondo di Harry Potter, Silvia Giordano propone approfondimenti e laboratori sulle proprietà e i pericoli delle piante che fanno parte della famiglia della mandragola.

Grandi insegnanti 
13 aprile di: Silvia Giordano
copertina

Quella di Harry Potter è una saga di grande successo, che tutti i nostri studenti conoscono. Per questo ho pensato a una serie di lezioni che prendono spunto dai libri e dai film della serie per parlare di scienze, ecologia, storia, educazione civica e competenze digitali, senza dimenticare materiali in lingua per le lezioni CLIL.

Il primo percorso che vi propongo parla della famosissima mandragola, che compare proprio nella storia di Harry Potter e ci può dare il pretesto per un bel viaggio nell’evoluzione e nella storia, parlando di piante velenose e orti “della morte”. La lezione è pensata in particolare per la primaria e la scuola secondaria di I grado, ma può essere proposta anche alla secondaria di II grado approfondendo per esempio l'aspetto della neurotossicità oppure, agli istituti alberghieri, il tema interdisciplinare delle intossicazioni alimentari.

La mandragola: ricerche d’identità tra scienze, storia e educazione civica (1h)

“Mandragola” e “mandragora” sono due versioni del nome comune di questa pianta, i cui nomi scientifici sono Mandragora officinarum e Mandragora autumnalis. È una pianta che è parente alla lontana della patata, del peperone e del peperoncino, del tabacco e della melanzana: parliamo della famiglia delle Solanacee, piante che – come dice il nome – necessitano spesso di molto sole.

Proponiamo a studenti e studentesse una breve ricerca online sulle Solanacee, verificando che si basino su fonti attendibili, i cui risultati potremo andare a rappresentare su una mappa interattiva. Questa attività, oltre a lavorare sulle competenze digitali degli studenti, li aiuterà a visualizzare il motivo per cui questa famiglia di piante si chiama così, offrendoci anche diversi spunti di riflessione interdisciplinari. Dividiamo la classe in tre gruppi. Il primo gruppo dovrà fare una ricerca sui paesi di origine di queste piante, che oggi coltiviamo anche sul balcone di casa nostra; il secondo si occuperà invece degli attuali paesi che ne sono i maggiori produttori; l’ultimo dovrà invece individuare le stagioni e le temperature a cui queste piante fruttificano.



Il risultato finale della ricerca dei gruppi può confluire in un’unica immagine interattiva digitale (o un cartellone cartaceo, se preferite i metodi analogici) in cui collocare:

  • un planisfero su cui visualizzare i paesi d’origine delle piante. Questo può offrirci lo spunto per alcuni approfondimenti storici: come sono arrivate queste piante nei nostri piatti e quando? Per una bella lezione di educazione civica facciamo invece notare che buona parte dei piatti considerati tipicamente “italiani” comprende ingredienti che qualche secolo fa in Italia non c’erano neppure…
  • una mappa dei paesi produttori di queste piante, con cui riflettere insieme sulle distanze coperte dai cibi che ogni giorno acquistiamo al supermercato senza fare caso alla loro provenienza, e parlando così di carbon footprint e dell’obiettivo 12 dell’Agenda 2030, il consumo responsabile e parlando di carbon footprint.
  • un calendario annuale su cui evidenziare i periodi di raccolta dei prodotti di queste piante e da cui partire per un approfondimento di scienze che spieghi come il peperone, il pomodoro e la melanzana siano – botanicamente parlando – dei frutti, poiché contengono semi; mentre invece del tabacco usiamo le foglie e della patata il tubero.

Per creare un’immagine interattiva collaborativa in digitale, potete usare Canva (vi consiglio la funzionalità “lavagna on line” per cui trovate un mio videotutorial qui), oppure programmi specifici per le immagini interattive tra cui Thinglink (a pagamento) e Interacty (gratuito).

Approfondimento: processo ai superfood e debate di classe (1h)

Se cercate un approfondimento speciale per gli studenti più curiosi o plusdotati, vi consiglio un percorso su un’altra pianta solanacea: il goji (nome scientifico Lycium Barbarum). Il nome è notissimo a tutti: la sua bacca è diventata piuttosto famosa negli ultimi anni come superfood incredibilmente ricco di vitamina C, c’è chi dice addirittura500 volte più delle arance!). In realtà questa è una fake news, che potete leggere qui: una spremuta di succo di goji contiene circa solo il doppio della vitamina C che c’è in una spremuta d’arancia.



Affidate come compito per casa agli studenti più intraprendenti la missione di capire tramite una ricerca online da quale manipolazione di dati deriva questa credenza “popolare”: sarà il fatto che, in quanto frutto essiccato, le tabelle nutrizionali in percentuale non tengono conto dell’acqua (come invece accade per le arance), andando così a dipingere un quadro falsato delle reali proprietà di questo “superfrutto”?. Chiedete loro di rappresentare ciò che hanno scoperto in una presentazione, con tanto di sitografia e “referti” specialistici come tabelle nutrizionali, articoli di giornale, interviste a “esperti del settore”, che poi dovranno esporre alla classe.

A conclusione del lavoro, date il via a un piccolo debate in aula: chi ha effettuato la ricerca verrà intervistato dal resto degli studenti, i quali si comporteranno come una giuria durante un vero e proprio processo, al fine di prendere la decisione finale se classificare la notizia come reale fake news oppure come una parziale manipolazione della realtà (soluzioni della ricerca: questo articolo de Il Post, questa ricerca e questo approfondimento, con una proposta di laboratorio molto accattivante qui).

Mandragola: velenosa o pericolosa? Un viaggio storico-scientifico tra droghe e medicine (1h30)

La mandragola come molte altre piante della famiglia delle Solanacee, è una pianta pericolosa per l’uomo. Essa contiene infatti diversi tipi di alcaloidi, una serie di composti che risultano tossici se ingeriti. Questa miscela di alcaloidi è presente in tutte le parti della pianta, sia nella radice che nelle foglie: questo la rende velenosa per l’uomo e pericolosa, soprattutto perché visivamente assomiglia molto ad altre piante commestibili come la borragine e gli spinaci: frequenti sono i casi di cronaca locale di avvelenamento da mandragola (uno per tutti, che riguarda una busta di spinaci “allucinogeni”, lo trovate qui).

Allarghiamo lo sguardo sul resto delle piante appartenenti alla famiglia della mandragola: tra di esse vi è la belladonna (nome scientifico: Atropa belladonna) altra pianta molto famosa per le sue proprietà allucinogene e mistiche. Anch’essa infatti contiene molti alcaloidi e le sue foglie sono utilizzate, una volta essiccate, come una droga, Tuttavia uno di questi alcaloidi, l’atropina, se estratto dalla pianta risulta molto utile all’uomo, poiché è un naturale dilatatore della pupilla.

Oggi è infatti contenuto nei colliri che gli oculisti utilizzano durante le visite ai pazienti (rendendoci impossibile per alcune ore mettere a fuoco correttamente, dal momento che blocca l’azione dei muscoli responsabili dell’accomodazione visiva), ma era già ben noto nel Medioevo come pozione di bellezza: dilatando la pupilla, infatti, rendeva lo sguardo delle donne particolarmente splendente (per i canoni dell’epoca!), da cui appunto il nome “belladonna”. Lo stesso accadeva durante il Rinascimento a Venezia: le dame la usavano per preparare un cosmetico in acqua distillata, che dava risalto e lucentezza agli occhi, rendendole così più seducenti.

Allo stesso tempo, però, nel Medioevo con essa si preparavano unguenti con cui cospargere il corpo, che facevano arrivare, attraverso l’assorbimento epidermico, l’atropina fino al cervello: questo causava forti allucinazioni e “voli” psichici, rendendo la belladonna famosa come “pianta delle streghe”. Nonostante questi noti pericoli, la Belladonna è una pianta molto attraente per l’occhio umano: quando fruttifica produce delle bacche nere molto simili alle ciliegie, di gusto gradevole. Esse sono però mortali: ne bastano una o due per uccidere un uomo. Ricordiamo ai nostri studenti che, nella mitologia greca, la parca Atropa, dal cui nome la parola “atropina”, era colei che tagliava il filo della vita.



Oggi viene usata abbondantemente in campo ospedaliero: da essa viene estratta e sapientemente dosata l’atropina, utile anche per il morbo di Parkinson, le coliche addominali, l’asma bronchiale, le anestesie e il controllo del battito cardiaco. Tuttavia sono frequenti anche gli usi illeciti: può venire mescolata alla cocaina, in un mix mortale per chi la usa, ma molto redditizio per chi spaccia. Le droghe che si basano sugli effetti psicoattivi delle Solanacee causano, in basse dosi, ebbrezza narcotica, modificazione delle percezioni sensoriali e distorsioni della realtà, allucinazioni che vengono percepite come reali (tipicamente, le persone parlano con persone che non sono fisicamente presenti davanti a loro o con oggetti). Gli effetti possono durare dalle 5 ore fino ad alcuni giorni. Gli effetti collaterali sono: dilatazione delle pupille, secchezza delle mucose, prurito alla pelle, ipersensibilità alla luce. A dosi più elevate causano: perdita di controllo motorio, vertigini, cecità temporanea, ansia, attacchi di panico, vuoti di memoria, convulsioni e problemi respiratori.

A causa della variabilità di concentrazione di queste sostanze nelle piante da cui sono estratte, la soglia tra la dose psichedelica e quella tossica è molto difficile da stabilire e il rischio di avvelenamento è molto alto: in caso di sovradosaggio può verificarsi la morte per arresto respiratorio. Anche lo Stramonio, uno storico veleno utilizzato per dispensare morte, fa parte della stessa famiglia ed è parimenti tossico, allucinogeno e mortale.

Sapevate che anche la patata, quando è arrivata in Europa, era considerata una pianta velenosa per via delle numerose morti che causava in chi la consumava? Questo è un aneddoto storico curioso ma anche molto indicativo di quanta saggezza e conoscenza scientifica stanno dietro ai cibi che oggi consumiamo con tanta spensieratezza: le patatine fritte, tanto amate dai nostri studenti, hanno corso il rischio di non arrivare mai nei nostri piatti. Quando arrivarono in Europa dall’America, chi cercò di diffondere le patate dimenticò di istruire la popolazione a riguardo, dimenticandosi di specificare che sì, erano un’importante e comoda risorsa alimentare per l’uomo, in quanto il suo tubero è particolarmente ricco di carboidrati (perché costituito di una riserva di amido) e quindi di energie preziosissime e a buon mercato, ma che in verità la sua parte epigea (quindi la parte verde) non solo non è commestibile ma addirittura velenosa!

Le sue foglie infatti contengono l’alcaloide solanina, che è tossico. Il risultato fu che, quando questa coltivazione arriverò in Europa, molte persone morirono per l’ingestione delle foglie della pianta – invece che del suo tubero – e la corte francese ebbe il suo bel daffare per smantellare questa antichissima fake news che si diffuse molto in fretta nella popolazione, secondo la quale le patate erano velenose (per approfondire l’argomento si può consultare il volume di Tom Standage, Una storia commestibile dell’umanità).

Tornando infine alla nostra mandragola: indimenticabile la scena di Harry Potter in cui gli aspiranti maghetti entrano nel laboratorio di botanica della professoressa Sprout per una lezione di Erbologia (potete riguardare la scena in italiano qui e in inglese qui) e devono rinvasare le giovani piante di mandragola. La professoressa fa indossare agli studenti dei paraorecchie per evitare che gli urli della radice li faccia svenire (o morire, se la pianta fosse stata adulta). Da dove deriva questa scena? Ha basi scientifiche, in qualche modo? Se lo chiedete ai vostri studenti, risponderanno probabilmente di no, che è una finzione cinematografica tipica del genere fantasy a cui questa saga appartiene.



Tuttavia, c’è un piccolo fondo di verità, o meglio di realisticità storico-scientifica, in questa scena! Innanzitutto, la forma della radice: in effetti è una radice molto particolare ed è vero che in essa possiamo riconoscere spesso un aspetto antropomorfo (in un tipico esempio di “pareidolia antropocentrica”) e anche il suo nome deriva proprio da questa sua caratteristica, poiché deriva dal persiano mandrun-ghia che significa “erba-uomo”. Per quanto riguarda le urla, era una credenza popolare diffusissima: si credeva che una volta estratta dal terreno emettesse delle urla capaci di far impazzire chi la estraeva, credenza forse nata proprio dall’aspetto di bambino delle sue radici.

Tale credenza probabilmente si è diffusa proprio per evitare che le persone raccogliessero questa pianta per ingerirla, scambiandola con altre piante commestibili, come gli spinaci selvatici: per evitare ciò, già tra gli antichi romani correva voce che dentro la radice ci fosse un demone nascosto, il quale, se sollecitato, avrebbe ucciso chi aveva raccolto la pianta. Possiamo infine supporre che l’autrice dei romanzi del celebre maghetto, J. K. Rowling, abbia inserito il dettaglio dei paraorecchie ispirandosi alla consuetudine medievale di chi maneggiava questa pianta di proteggersi dai suoi effetti mortali attraverso riti particolari, che coinvolgevano cani neri, crocifissi, corde e, ovviamente, tappi di cera per le orecchie!

Ricordiamoci che la mandragola è altamente tossica, come le altre Solanacee di cui abbiamo parlato: contiene potentissimi alcaloidi, che possono indurre allucinazioni, spasmi, coma e, in caso di gravi intossicazioni alimentari anche la morte. Del pericolo di una sua ingestione per errore da parte di persone che raccolgono piante commestibili spontanee presenti in natura, se ne è occupato anche il Ministero della salute, che ha pubblicato nella sua guida sulle intossicazioni alimentari da tossine naturali una sezione specifica proprio per la mandragola: la potete trovare nel documento ufficiale scaricabile da qui, in cui la pianta è citata anche come ingrediente mortale all’interno delle tristemente famose smart drugs.

Collegandoci infine alla storia e alla letteratura, ricordiamo che la mandragola era utilizzata nell’Antica Grecia per favorire il sonno, aggiungendone piccole dosi nel vino o nel cibo, ma anche come rimedio afrodisiaco contro la sterilità, citato non solo nella Bibbia, ma anche nella famosa e omonima commedia di Machiavelli. Oggi anche questa pianta è sfruttata in ambito medico, per i suoi poteri analgesici, sedativi e narcotici: dai suoi estratti per esempio si ricavano i principi attivi che stanno alla base dei cerotti contro il mal d’auto o il mal di mare.

Attività green: un orto degno della famiglia Addams

Come ultima attività, particolarmente adatta al periodo primaverile, potete chiedere a studenti e studentesse di aiutarvi a progettare l’allestimento di un orto “della morte” o “dei veleni”, per essere meno macabri, chiedendo loro di svolgere a casa una ricerca sulle piante velenose e portatrici di morte che possono essere coltivate alle nostre latitudini. Tra di esse, vanno citate piante molto belle e dall’aspetto davvero innocuo come il mughetto, la stella di natale e l’oleandro, oltre che le più classiche cicuta, digitale e stramonio.

Per ognuna di queste piante che vorremmo far finire nel nostro orto, reale, virtuale o immaginato che sia, potremmo far svolgere una breve ricerca storica e scientifica, che raccolga le informazioni botaniche che ne spiegano la tossicità, ma anche le credenze popolari che le riguardano (prozie delle attuali fake news!) o i miti e le leggende ad essa associate. Se fossimo poi così fortunati da poter allestire davvero un angolo della nostra scuola alla coltivazione di queste piante, sotto la nostra supervisione, potremmo pensare di inserire dietro a un QR Code inserito nel cartellino identificativo della pianta questa raccolta di informazioni e curiosità.



Immagine di copertina tratta dal libro "Harry Potter. Il libro di cucina ufficiale", Magazzini Salani