Dire, fare, insegnare
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"Rane pensose", o l'apprendimento attraverso la riflessione

Asteria Bramati, docente ed esperta di neuropedagogia, propone in questo articolo un metodo di insegnamento fondato sulle domande, che ha come protagonisti gli studenti.

Metodologie 
08 giugno 2023 di: Asteria Bramati
copertina

"A dar risposte sono capaci tutti, ma per porre le vere domande ci vuole un genio." (Oscar Wilde)

L'importanza delle domande nell'insegnamento

Se, come ha sostenuto Paulo Freire, l'apprendimento implica un dialogo curioso con l'esperienza, esplorare tramite domande implica possibilità. La sfida a scuola è porre domande giuste affinché esse diventino una parte centrale delle indagini e da queste si generino altre domande, in un continuo perpetuarsi che ponga lo studente al centro del sapere che va via via costruendosi.

Tuttavia, i neuroscienziati ci mostrano che le domande poste dagli insegnanti spesso riflettono gli schemi presenti nella loro mente, adattati a ciò che è esposto nei testi scolastici. Gli studi di pedagogia, inoltre, evidenziano che gli insegnanti compiono un errore cognitivo: tendono a insistere con la stessa domanda o varianti, fino a quando non ricevono risposte che soddisfino le loro aspettative. Per questa ragione non dobbiamo trascurare il ruolo giocato dalle domande fatte dagli studenti stessi. Esse, infatti, sono una risorsa che riflette e modella il loro apprendimento.

Le domande "giuste"

Le domande giuste sono quelle che riflettono un dialogo tra pensiero critico e pensiero creativo. La tensione tra loro genera comprensione, intelligenza e inventiva, specialmente se esplorata con mezzi collaborativi. Le "connessioni" generate da tali domande rispecchiano l'imaging mentale che produce i pensieri emergenti. Tali connessioni possono unirsi per formare i cosiddetti "concatenati di senso", unità di pensiero (ordinate e disordinate) che possono essere dissolte in qualcos'altro e consumate, o completamente ripensate come nuove.

Per raggiungere tale obiettivo sono molto utili le domande generative generiche (DGG, in inglese GGQ). Esse modellano il pensiero e stimolano la sintesi tra diversi concatenati di senso. Tuttavia rimangono astrazioni fino a quando non vengono formulate in contesti specifici e per scopi particolari, per questo si rende necessario un dialogo tra discenti e insegnanti. Il processo diventa maturo quando gli studenti esplorano le domande che hanno formulato, le quali sono in grado di indagare e riflettere il pensiero e le mentalità delle persone coinvolte.

Rane pensose

Avremo un esempio significativo prendendo in esame alcuni momenti di un'attività che è stata svolta al collegio San Carlo di Modena, dove si insegna ai più piccoli a ragionare con la filosofia [1]. Come dice Carlo Altini: “Tramite i giusti stimoli iniziali, si innesca una pratica dialogica per lo sviluppo di uno sguardo e di un pensiero critico sulla realtà”. All’origine del dibattito c’era un breve testo tratto dal libro, Mente e natura, di Gregory Bateson, sulle cosiddette Rane Pensose. Il testo traeva il suo nocciolo di senso da una leggenda "quasi scientifica" secondo la quale, se si riesce a tenere buona e ferma una rana in una pentola d’acqua fredda e si aumenta lentissimamente e senza sbalzi la temperatura dell’acqua, in modo che nessun istante possa essere percepito come quello in cui la rana dovrebbe saltar fuori, la rana non salterà mai fuori e finirà lessata.

Gli scolari si sono chiesti chi fosse quella rana, (prima DGG). Solo pochi hanno parlato della rana come animale, la maggioranza ha visto in essa una metafora della condizione umana. Da una semplice domanda ne sono scaturite molte altre, a cascata, che, hanno permesso ai bambini di capire, secondo la propria visione, il senso del racconto. "La rana rappresenta un umano con la mente grigia". "La rana è come un uomo che va incontro al pericolo senza capirlo perché gli manca il cervello funzionante". "La rana è come il mondo degli uomini che piano piano viene distrutto perché si è rifiutato di usare la mente e continua a inquinare". "La rana è l’umanità che viene calpestata dall’uomo, cioè da se stessa". "La rana mi fa pensare agli uomini che non pensano, non si meravigliano e non si fanno domande: così non si può vivere veramente".

I bambini non sono ingenui: sanno collegare “un raccontino” con gli aspetti fondamentali del rapporto che ha l'uomo con la realtà. Impressionante è il riferimento alla centralità dell’inquinamento della mente, quasi avessero letto Verso un’ecologia della mente, sempre di Bateson.

La dimensione dei perché

Alla fase "ermeneutica" ne è seguita un’altra in cui la riflessione si è trasferita sulla prassi, introdotta da un bambino che poneva la questione del come uscire da quella situazione: "Ma come risolvere questo problema?" (seconda DGG). Da qui scaturisce tutta una serie di interpretazioni che riflettono il modo di rappresentare la realtà da parte dei bambini.

Anche in questa discussione c’è stata una svolta inattesa che ha suscitato una molteplicità di interventi. Uno scolaro si è costruito un “concatenato di senso” tra la prima DGG e la seconda DGG che lo porta a dire: "la rana e l’uomo rappresentano due umanità che non vanno bene" e che ci sarebbe bisogno di una terza umanità. In molti hanno risposto alla sua sollecitazione. "Per me servirebbe un’altra umanità dove ci fosse la pace fra l’uomo e la natura, per questo ci vuole una nuova ragione". "La nuova ragione è quella per cui l’uomo deve sempre pensare alle conseguenze delle sue azioni e non farle più se portano al male". "Le rane umane dovrebbero ragionare invece di stare rinchiuse in una gabbia mentale, cioè incapaci di ribellarsi agli uomini che distruggono la natura e la vita". "Per me ci vorrebbe una terza umanità non troppo timida e non troppo aggressiva ma pensante, cioè capace di ragionare col proprio cervello per evitare la propria distruzione". "Anche per me ci vorrebbe la terza umanità. Quella rappresentata dalla rana è l’ignoranza. Quella dell’uomo che la mette in pentola è l’incapacità di capire, anche se è intelligente".

Le "domande conseguenti" sono parte integrante delle indagini incentrate sulla "dimensione perché" dell'apprendimento. La filosofia con i bambini promuove l’impegno a problematizzare, cioè a esercitare l’immaginazione, il pensiero e l’argomentazione rispetto a domande che inducono a mettere in relazione categorie, concetti, esperienze: ci si esercita a fare ipotesi, a concepire possibilità diverse da quelle a cui si è avvezzi, a ragionare in termini controfattuali, a valutare il quasi e le alternative [2].

La vera svolta educativa, dunque, é porre lo studente nella condizione di porre le domande giuste, poiché l'interrogazione e il pensiero (necessari nell'insegnamento) si occupano di stabilire connessioni, non necessariamente di trovare risposte o di prendere decisioni.

Riferimenti bibliografici

  1. Filosofare. Filosofia con i bambini, strumenti per la pratica educativa, a cura della Fondazione San Carlo, ArteBimbi, Bologna 2014.
  2. A.Stella, J.L. Dennis, Psicologia del pensiero e ragionamento deduttivo: modello normativo, ragionamento umano e pensiero critico, in Teorie e Modelli, XI, 2008.