La professoressa Sara Adobati racconta di un'esperienza di scuola inclusiva in cui tutti gli studenti hanno potuto vivere esperienze dove etica, collaborazione e spirito di gruppo hanno dato il loro contributo nella costruzione dei cittadini del futuro.
Secondaria  Esperienze di insegnamento All’inizio dell’anno scolastico 2018 ho accettato una supplenza in un Istituto Comprensivo della periferia di Milano: una cattedra piena come insegnante di sostegno in una scuola secondaria di primo grado. Data la mia specializzazione come interprete di Lingua dei Segni Italiana, il corso specialistico in pedagogia e didattica della sordità e l’esperienza pregressa come Assistente alla Comunicazione - una figura prevista dalla legge 104/92 che si rivolge ai disabili sensoriali, fondamentale per l’integrazione scolastica - mi è stata affidata una classe terza dove già dal primo anno era stata inserita una studentessa sorda segnante. La classe era stata seguita da un’insegnante di sostegno nei due anni precedenti il mio arrivo.
Quando ti affidano un caso di sordità, fino a quando non leggi la diagnosi e non conosci lo studente, non puoi avere ben chiara la situazione di partenza. La sordità è un mondo sfaccettato, che definisce la sua complissità già nelle innumerevoli diciture utilizzate. Parlando con esperti, leggendo articoli o scorrendo il web ci si può imbattere in innumerevoli terminologie: sordi, Sordi, sordomuti, sordastri, audiolesi, ipoacusici, minorati auditivi, minorati sensoriali dell'udito, ipoudenti, deboli di udito, maludenti, non udenti, anacusici, cofotici, protesizzati, impiantati, oralisti, segnanti, bilingui. Quali saranno le differenze? Cosa vorranno mai dire? È necessario conoscere per capire e agire.
L’immagine che per me si addice a spiegare questo “mondo invisibile” è quella di un rizoma da cui si estende quello stelo chiamato studente, dove ogni piccola radice rappresenta una decisione, un dubbio, un terapista. L’insegnante di sostegno per questo motivo non può limitarsi a leggere la diagnosi funzionale, ma è necessario che osservi il carattere, che analizzi il background famigliare e si confronti con la rete di esperti. Il primo passo è instaurare una buona relazione di fiducia con l’alunno e una strategia didattica efficace che vada a stimolare i punti di forza e la curiosità dello studente ponendo giorno dopo giorno obiettivi che puntano alla crescita della sua autostima attraverso l’inclusione.
Nella mia classe milanese ci sono 23 studenti di cui come dicevo una studentessa sorda, una con Bisogni Educativi Speciali e una studentessa ipovedente. Tra le figure adulte ci sono due insegnanti di sostegno, un’educatrice e un’assistente alla comunicazione. La studentessa sorda soffre di una sindrome genetica che ha come sintomi la sordità e un ritardo grave: ha un impianto cocleare che le permette di udire suoni molto forti quali la sirena dell’ambulanza, ma che non le permette di discriminare le parole. Per questo motivo durante gli anni della scuola primaria è stato deciso di introdurre l’uso della Lingua dei Segni.
È l’età dei fidanzatini, dei personaggi televisivi preferiti e sono tutti molto concentrati sulla propria crescita personale, divisi tra sport a livello agonistico, strumenti da imparare e perfino audizioni al conservatorio; il tutto condito dalle prime uscite in piazzetta con gli amici del quartiere. Le ragazzine DVA (Diversamente Abili) sono concentrate sul capire che qualcosa sta cambiando e iniziano a fare i conti con le proprie fragilità. In questo contesto siamo noi professionisti a dover trovare delle ottime strategie d’inclusione che siano stimolanti e possano essere un valore aggiunto per tutti gli studenti che a fine anno dovranno sostenere l’esame minesteriale.
Il primo approccio per creare sintonia e avviare le strategie d’inclusione è stato quello di “parlare” la lingua degli adolescenti: la musica. Questa è stata la chiave per aprire la porta giusta. Insieme al collega di educazione musicale si è progettato un laboratorio di coro in Lingua dei Segni per un’ora a settimana. Vagliate le proposte dei ragazzi sono stati scelti i pezzi attraverso votazione, poi (prima in piccolo gruppo e poi in grande gruppo) in circle time si è analizzato il testo del brano, traducendolo in italiano se necessario; si è fatta qualche ricerca sul cantante o l’autore del pezzo musicale e infine si è ricercato l’implicito dei testi, sottolineando i sottintesi, le metafore, raggiungendo così l’obiettivo comunicativo. Abbiamo poi scelto i segni (qualche volta grazie all’utilizzo dell’app Spread the sign) e i costrutti più vicini all’intenzione dell’autore del brano musicale, trasformando le immagini descritte in modo che potessero essere godute anche dalla studentessa sorda. In seguito i Segni dovevano essere scelti in modo che fossero ritmicamente inseriti nei tempi della canzone e di questo si sono occupati un paio di ragazzi batteristi che hanno coordinato l’elaborazione leggendo gli spartiti reperibili online. A quel punto abbiamo fatto ripetere più e più volte finché i Segni non sono stati memorizzati. L’obiettivo dell’inclusione è stato raggiunto così: all’intervallo tutti erano attorno alla studentessa sorda a cantare e segnare canzoni rap o dei Queen. Inoltre sia al concerto di Natale sia a quello di fine anno scolastico la classe si è cimentata in una vera e propria performance di coro di “mani bianche”, da un’idea partita dal musicista Josè Antonio Abreu in Venezuela e successivamente importata in Italia nel 2010, prima a Roma e oggi diffusa come forma artistica e strategia d’inclusione in molte scuole.
Per quanto riguarda la progettazione di una Didattica Individualizzata per uno studente con un ritardo grave può diventare difficile trovare il giusto connubbio tra gli argomenti proposti alla classe e quelli di cui necessita lo studente DVA secono il suo Progetto di Vita e far sì che possano avere un territorio comune da condividere, di cui parlare. Con i colleghi abbiamo organizzato la visione di video selezionati attraverso alcune caratteristiche specifiche quali quella di avere molte immagini descrittive e narrative, in modo da poter essere di facile fruizione e quella di essere sottotitolati, anche se non sempre questo è di facile reperibilità. Inoltre, gli studenti sono stati invitati alla creazione di powerpoint per immagini spiegati da loro stessi attraverso la stretegia della flipped classroom, in modo da rendere più stimolante la partecipazione o il primo approccio all’argomento. Dopodichè è stato necessario soffermarsi in modo individuale per ripetere le informazioni, stimolare la memoria, apprendere i termini, anche quelli molto semplici, impararli in LIS e trovare degli esercizi o inscenare delle situazioni in cui si potessero eventualmente utilizzare le nuove conoscenze apprese. Per ottenere questo risultato è servita una progettazione dettagliata con materiali elaborati ad hoc e la condivisione con alcuni studenti della classe per far sì che le conoscenze si trasformassero in competenze e condivisione. Questo può avvenire anche con strumenti ludici con cui gli alunni possono sperimentare dei giochi: per esempio il memory figurato (dall’idea dell’assistente alla comunicazione Rosanna Petito che creò il primo per il progetto d’inclusione “Vivilis” dell’istituto comprensivo Barozzi di Milano in collaborazione con l’ENS – Ente Nazionale dei Sordi di Milano) o la tombola in Lingua dei Segni dedicata a determinati argomenti, strumenti didattici sempre disponibili anche durante gli intervalli per permettere alla ragazza sorda di interiorizzare le nuove conoscenze e di non dimenticarle.
Un progetto che si è realizzato grazie a buona parte del team degli insegnanti di sostegno è stata poi l’attività laboratoriale dedicata alla cucina. È stato realizzato il setting in un’aula allestita ad hoc dove ogni martedì i ragazzi DVA della scuola potevano partecipare a una vera e propria lezione di cucina. Inizialmente si sono date le basi su come leggere una ricetta, quali ingredienti servano e quali strumenti. Ogni lunedì si sono accompagnati gli alunni a fare la spesa nel supermercato di quartiere dove si è imparato a cercare gli ingredienti, vedere quanto costano e pagare alla cassa ottenendo il resto corretto. In questo modo sono state raggiunte non solo le competenze manuali ed esecutive ma anche, attraverso la didattica partecipativa, le conoscenze logico-matematiche, spaziali e sequenziali.
Dopo quattro lezioni in cui i ragazzi hanno acquisito la manualità base, a ogni laboratorio sono stati invitati piccoli gruppi di compagni – piccoli per motivi di spazio, tempo e sicurezza. Data l’età in molti non sapevano cucinare ed è stata così la studentessa sorda a “muoversi verso” i compagni facendo loro da tutor, spiegando e insegnando le strategie corrette per eseguire la ricetta nel modo migliore. Ogni martedì qualche studente è dunque tornato a casa con alcune leccornie da condividere con i genitori, con qualche skill manuale in più e con il vocabolario di LIS incrementato.