Dire, fare, insegnare
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Ultra flipped-classroom: gli studenti protagonisti

Giovanni Nicotra propone un esperimento didattico con il metodo della flipped-classroom per rendere gli studenti protagonisti della costruzione del sapere.

Secondaria  Esperienze di insegnamento 
11 settembre di: Giovanni Nicotra
copertina

L’osservazione del metodo di lavoro dei ragazzi mette in luce, sempre più spesso, una fuga dalla responsabilità. Lo studio, in questi casi, viene svolto quasi meccanicamente e con l’obiettivo di riportare all’insegnante quanto si suppone che egli desideri. Questo atteggiamento permette, spesso, di risolvere il problema dell’interrogazione o della prova, a volte anche con risultati discreti, ma non quello di costruire un bagaglio culturale che possa diventare una risorsa per l’alunno.

La spiegazione di perché questo avvenga potrebbe essere duplice. Si può rintracciare in un disorientamento dei giovani, figli della loro epoca – e già tante volte descritto – deresponsabilizzati a causa dell’essere in molti frangenti spettatori, e indotti a una valutazione solo estetica e non profonda delle esperienze della vita. Ma non solo: l’altro volto della spiegazione potrebbe vedere noi insegnanti come responsabili. La mia ipotesi è che, pur proponendo strategie sempre nuove per catturare l’attenzione dei ragazzi, queste siano in parte vanificate dall’adesione sotto traccia a un modello che implica un movimento unidirezionale del sapere: dall’insegnante all’alunno nell’ora di lezione; dall’alunno all’insegnante nel momento dell’interrogazione, spesso con poco spazio per la rielaborazione e con l’avvilente restituzione dell’alunno all’insegnate come di un dono nemmeno scartato.

La riflessione su come rendere biunivoco il tempo della scuola, cioè spazio di costruzione di qualcosa di originale e autogenerativo, in realtà, è già avviata da tempo. Ciò che mi propongo, nell’esperimento didattico che illustrerò qui sotto, è un ulteriore tentativo per trascinare dentro lo spazio della lezione i ragazzi e dargli un ruolo da protagonisti nella costruzione del loro sapere. Il modello proposto può essere inteso come un’applicazione della flipped-classroom: da un lato, questo sistema viene portato agli estremi poiché l’apporto dei ragazzi, centrale per lo sviluppo della lezione, si estende fino a costruire il test di valutazione di fine modulo. Dall’altro, si mantengono vivi alcuni aspetti dell’approccio tradizionale dai quali è difficile prescindere, come le competenze che un insegnante capace mette in atto nel suscitare interesse, nel farsi capire, nel tener desta l'attenzione.

Il metodo applicato

Nell’arco di due mesi sono stati condotti due moduli didattici, che fanno parte del corso di anatomia e fisiologia umana. La classe è una terza liceo linguistico e il corso prevede due ore settimanali. L’obiettivo pratico è quello di organizzare e condurre l’attività insieme ai ragazzi, fino al momento conclusivo della prova finale. In particolare, il ruolo dell’insegnate si risolve in quello di un garante del corretto svolgimento dell’attività e di tutor per lo sviluppo delle lezioni condotte dagli studenti, mentre la parte più consistente del lavoro di elaborazione e spiegazione viene svolta dai ragazzi.



L’attività è strutturata in tre momenti:

  1. nel primo, l’insegnante fornisce il contesto generale entro il quale muoversi, la cornice concettuale che serva da base per il secondo momento. Contemporaneamente, offre agli allievi un modello di conduzione efficace della lezione. L’attenzione degli studenti sarà rivolta non solo al contenuto, ma anche alla modalità attraverso la quale si sviluppa la lezione stessa;
  2. il secondo momento si compone di micro lezioni condotte dai ragazzi, più o meno della durata di 20 minuti l’una. Il gruppo di alunni è organizzato in coppie e a ogni coppia è affidato un singolo argomento. Agli alunni spetta il compito di trasmettere in modo proficuo, tramite schematizzazione, produzione di slide e spiegazione dei punti nodali, quanto è loro affidato. In questa fase, il ruolo dell’insegnante è poco più che quello di spettatore. L’attenzione degli studenti è volta, ora, a mettere i propri compagni in condizione di capire quanto viene spiegato, mentre è importante che sparisca la tensione nel dimostrare all’insegnate la qualità del proprio lavoro (questa fase non prevede una valutazione sul registro);
  3. il terzo momento è quello del test. Questo è il vero elemento originale dell’attività didattica: a ogni coppia è chiesto, oltre al lavoro di studio ed elaborazione del proprio argomento, di fornire all’insegnante tre o quattro domande che confluiranno nella prova finale. La valenza di questa impostazione è che la spiegazione fatta dagli alunni, ora, non ha più l’obiettivo scontato di dimostrare al docente di aver svolto un compito (io potrei anche uscire dall’aula nella seconda fase: rimango solo su richiesta dei ragazzi). Ha invece l’obiettivo molto più concreto di mettere i propri compagni in condizione di svolgere bene il test di fine modulo.

Un obiettivo sottaciuto, ma ancora più rilevante, di quest’ultima fase è quello di far maturare nei ragazzi l’idea che l’istruzione sia un fatto loro. In quest’ottica, l’insegnante diventa una figura che li accompagna nel percorso formativo e che vale la pena sfruttare per progredire in esso e per orientare il proprio futuro. A conclusione delle tre fasi, segue la verifica dell’attività svolta, focalizzando l’analisi critica sia su quanto appreso che sulle tecniche e la metodologia applicata.

Questo schema è stato applicato per due moduli didattici. Il primo è servito a me e ai ragazzi per prendere le misure con il nuovo approccio, ragionare sui punti deboli del sistema ed esprimere un giudizio generale sulla sua riuscita. La fase di verifica del primo modulo, inoltre, ha avuto il duplice compito, ugualmente importante, di rassicurare i ragazzi sulla possibilità concreta di attuare un’attività così originale (soprattutto rispetto alla fase del compito in classe) e di rendere condivisa l’adesione all’attività. A questo punto, infatti, la prosecuzione secondo lo schema già tracciato non è più frutto della proposta dell’insegnante, ma una decisione presa consapevolmente dagli alunni.

Un ulteriore rilevante aspetto dell’attività così strutturata è che ad ogni coppia di alunni è data la possibilità di lavorare ed esporre secondo la propria indole. L’unico vincolo imposto è quello di fornire uno schema o una mappa del proprio argomento che funga da materiale per il ripasso in vista del test di fine modulo, poi condiviso tra tutti tramite la piattaforma Classroom. Per lo più, questo materiale si è tradotto in un power point di poche slide. La creatività dei ragazzi si è giocata, soprattutto, nell’organizzare i punti salienti del proprio argomento e nella modalità di esposizione ai compagni, maturata e arricchita sensibilmente tra il primo e il secondo modulo.

Riflessioni e conclusioni

È doveroso premettere una condizione: il tipo di attività proposto si può considerare adatto solo per le classi del triennio. La ragione di questa premessa è che ciò che viene richiesto agli alunni, in estrema sintesi, è di immedesimarsi nel ruolo di insegnanti. Affinché questo avvenga, è fondamentale che per un tempo sufficiente essi abbiano osservato, metabolizzato e, in qualche modo, imitato i propri docenti. Il primo modulo affrontato ha avuto, più che altro, scopo di rodaggio. In particolare:

  • era necessario dare prova della concreta possibilità di realizzare una tale attività;
  • il compito in classe di fine modulo – dall’esito eccessivamente positivo – ha rivelato un appiattimento su domande di conoscenza diretta e con poca profondità;
  • si è rivelato utile, personalmente, per capire cosa si aspettano i ragazzi da un test, qual è quindi il tipo di studio che fanno e come volgere, secondo obiettivi più alti, il proseguo dell’attività.

Un aspetto che mi ha colpito, osservando i ragazzi durante l’esposizione nel primo modulo, è stata la difficoltà nell’uscire dagli schemi che implicitamente condizionano il loro agire. Questo schema implicito è quello che impone agli studenti, quando viene chiesto loro un contributo allo sviluppo di un modulo didattico, di farlo a compiacimento dell’insegnante, allo scopo di ottenere un voto e senza relazione con la formazione dei propri compagni.

Non basta, dunque, chiedere ai ragazzi di comportarsi in un certo modo (“sii come un insegnante e spiega in modo che i tuoi compagni apprendano già dalla tua spiegazione”), ma è necessaria una fase concreta di adeguamento alla specifica richiesta e che abbia il principale obiettivo di svestire, poco alla volta, i panni del condizionamento. Come il momento di dialogo tra alunno e docente, l’interrogazione, rischia di essere svuotato del suo valore formativo, anche la situazione costruita durante questa attività, stava pericolosamente assumendo le fattezze di un’esposizione a mio beneficio. A tal proposito, nel secondo modulo ho offerto ai ragazzi la possibilità di esercitarsi con me nell’esposizione, prima dell’appuntamento di ogni coppia con la classe. Questo perché ritengo che la capacità di esporre in modo efficace sia una delle principali risorse da maturare e quella che abbia maggiori ricadute positive sul loro essere studenti.

Un punto debole dell’impianto delineato risiede nella costruzione del compito in classe. Come già detto, le domande proposte sono risultate eccessivamente semplici e poco indirizzate a descrivere la capacità degli allievi di utilizzare proficuamente quanto appreso. Si è trattato, infatti, di domande di conoscenza diretta e mai di domande che valutassero la capacità di ragionamento. L’esito positivo del primo test credo sia imputabile, soprattutto, al fatto che per la prima volta si sia verificato un perfetto allineamento tra attesa e realtà rispetto alle richieste del compito in classe, affermazione suffragata da quanto emerso a seguito del momento di verifica condotto insieme ai miei studenti.



L’esito del secondo modulo e del test relativo è stato estremamente indicativo. Da un lato, la qualità degli interventi dei ragazzi è cresciuta e la maggior parte di loro ha dimostrato una buona capacità di immedesimarsi nel ruolo di chi ha il compito far acquisire all’interlocutore nuove conoscenze. Dall’altro, ha messo in luce come la forza della solidarietà tra compagni sia superiore alla razionale intenzione di assecondare l’insegnante su un percorso giudicato interessante. Per dirla più esplicitamente, non ho avuto difficoltà a rilevare come nel secondo test ci sia stato uno scambio di informazioni dirette sulle domande che ognuno avrebbe posto.

Penso che tale risultato non sia scoraggiante, in primo luogo per la sua prevedibilità: come presupposto precedentemente, si tratta di un punto debole dell’impianto che conferma due aspetti – la solidarietà tra compagni e la preoccupazione della valutazione numerica – di cui tener conto in un prossimo modulo. In secondo luogo, viene messa in luce un’ulteriore debolezza: la reiteratività di una costruzione siffatta rende progressivamente più naturale il trasgredire alla norma. Anche di questo aspetto andrà tenuto conto in un successivo modulo.

La riproposizione del modello offerto, d’altro canto, proprio perché non rimane uno stravagante esperimento isolato, offre la possibilità di migliorarlo e adattarlo continuamente, modulo dopo modulo. Questo genera, secondo le mie aspettative, un maggiore senso di sicurezza e rende meno vincolante l’errore. Di più: l’errore, sia quello formale di risposta a una domanda che quello comportamentale di tradimento della fiducia, assume un ruolo fondamentale nellacostruzione rapida di un modello ideale e il principale elemento su cui ragionare in fase di analisi.

Prospettive future

La mia intenzione, che offro ai colleghi perché la vaglino e – possibilmente – la sperimentino, è quella di sfruttare a mio vantaggio (e, naturalmente, a quello degli studenti) quanto emerso dal secondo modulo. Frammentare un modulo didattico in due parti, una appannaggio del docente che traccia le linee guida del tema trattato e l’altra sviluppata dagli studenti tramite micro lezioni, consente di guadagnare maggiore dimestichezza nell’individuare i punti nodali di un argomento, nell’esprimersi in modo finalizzato alla comprensione dell’interlocutore e nell’assumersi una maggiore responsabilità rispetto a ciò che si studia.

Rimane ancora da studiare il sistema più idoneo per costruire il test finale, un test finale che sia davvero adeguato agli obiettivi che il percorso si prefigge. La valutazione basata su un test costruito insieme agli allievi mantiene infatti un’utilità solo per il primo modulo. La valutazione dei moduli successivi, invece, deve arricchirsi, prima del test finale, di sistemi alternativi a quello sperimentato. Usare a nostro vantaggio la solidarietà tra studenti significa, per esempio, allestire e coordinare gruppi studio, fatti insieme al docente, nei quali ogni coppia sia referente per gli altri rispetto al proprio argomento. Il lavoro si traduce, così, in mutuo scambio nel quale ogni ragazzo offre la propria e più accurata ricerca su un determinato argomento in cambio dell’aiuto su tutti gli altri, se ce ne fosse bisogno.

Lo schema dell’attività didattica si arricchirebbe, così, di una nuova fase, assecondata dall’insegnante:



Un ultimo spunto potrebbe essere quello di coinvolgere gli studenti nella fase di recupero del test, per accompagnare i ragazzi che non abbiano conseguito una valutazione sufficiente. L’elaborazione dei punti critici e un migliore allenamento rispetto all’argomento trattato verrebbe svolta attraverso le modalità della peer education, un ulteriore laboratorio sociale, in sintonia con lo spirito dell’esperimento.