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Una riflessione sul registro elettronico come strumento di valutazione

Francesca Puliga, esperta in metodologie per BES, DSA e gifted children e tutor nella scuola secondaria, parte dall’esperienza personale per riflettere su opportunità e rischi collegati al registro elettronico.

Problematiche scolastiche 
04 luglio 2023 di: Francesca Puliga
copertina

Tre storie legate al registro elettronico

V. ha appena compiuto tredici anni e frequenta la seconda secondaria di primo grado. È una ragazzina solare, adora lo sport e uscire con gli amici. A scuola ha un buon rendimento, ottime capacità espressive, ma qualche difficoltà in matematica e con le lingue straniere, ragion per cui abbiamo iniziato a lavorare insieme su un potenziamento. V. appare come un’adolescente abbastanza tipica, con una quotidianità serena. Prima delle vacanze di Natale, però, i suoi genitori hanno dovuto cambiare la password di accesso al registro elettronico, perché V. lo controllava anche più di venti volte al giorno, da quando usciva da scuola al momento di spegnere il suo smartphone prima di andare a letto. Voleva verificare le sue medie, aggiornare l’andamento generale, controllare se qualche insegnante avesse aggiunto un nuovo voto. Da quando non può farlo personalmente, mi scrive negli orari più svariati perché sia io a entrare nell’applicazione e rassicurarla sui suoi risultati.

J. invece è un diciassettenne iscritto al terzo anno del liceo artistico. Ha un DSA, è sempre stato seguito da una famiglia molto attenta ai suoi bisogni e, anche se lo studio non si è mai piazzato al primo posto tra i suoi interessi, se la cava senza particolari problemi. Gli piacciono i film di Tarantino, la boxe e ama gli animali, è ironico e un po’ indolente. Quando, in qualità di sua tutor, lo aiuto a organizzare il ripasso prima di un’interrogazione o una verifica, spesso replica «quello non è da studiare, perché tanto non c’è scritto sul registro elettronico».

B. sta affrontando l’esame di terza media. Ha avuto un percorso scolastico accidentato, reso più difficoltoso dal Covid nel passaggio di ordine tra la quinta primaria e il ciclo successivo. Anche se pian piano ha sviluppato un metodo, le quattro mura della classe le sono sempre state strette e la sua condotta ha spesso messo alla prova la pazienza dei docenti. Ogni volta che durante l’anno apriva la pagina del registro elettronico per vedere quali compiti erano stati assegnati, un fuoco di fila di richiami, note e reprimende si affacciavano perentori dalle caselle, a ricordarle la sua “inadeguatezza comportamentale”.

Parafrasando un dialogo del film Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, in cui i cellulari sono definiti «scatole nere delle nostre vite», possiamo affermare che i registri elettronici sono davvero le “scatole neredelle vite degli studenti e delle studentesse. Proprio come gli smartphone, sono senza dubbio utili: permettono a famiglie e studenti di seguire la vita di classe, di condividere materiali, di consultare assenze e ritardi, di avere un calendario chiaro delle scadenze. Per i ragazzi con Piano Didattico Personalizzato (che siano BES, DSA o gifted) il registro rappresenta un prezioso alleato che ricorda verifiche e interrogazioni programmate. In breve, si tratta di uno strumento utile e versatile che non deve essere condannato in toto ma il cui uso potrebbe e dovrebbe essere ripensato, nell’ottica di supportare non tanto la conoscenza dei dati e del rendimento quanto il benessere degli utenti (discenti, famiglie e docenti).

Alcune criticità del registro elettronico

I detrattori del famigerato “Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione” non sono mancati fin dal 2013, quando entrò in vigore l’attuale normativa per la digitalizzazione della documentazione scolastica. La nota insegnante e scrittrice Mariapia Veladiano ammoniva già allora dalle pagine di “la Repubblica” che la novità rischiava di suggellare l’idea di una scuola come insieme di numeri, allontanando genitori, ragazzi e ragazze dall’alleanza educativa che si dovrebbe promuovere e alimentare. In sostanza, tutta l’attenzione si concentra sul voto, poca considerazione è riservata al processo che conduce ad apprendere, a migliorarsi, a progredire nelle conoscenze, perché questo percorso è lungo, articolato e complesso. Non si può esprimere con una cifra, non si può semplificare e incasellare, proprio come non si possono semplificare e incasellare ragazzi e ragazze.

Un aspetto che forse all’epoca non era prevedibile consiste nella deriva ansiogena (o, per reazione “menefreghista”) che l’accessibilità costante alla pagina online del registro – secondo le statistiche l’app della scuola è quella più usata dagli under-19, insieme a Instagram e Tik Tok – provoca nei giovanissimi. Recentemente è stato aperto un (doveroso e lodevole) dibattito sulle fragilità di chi studia all’università, sotto pressione per le aspettative sociali relative all’iter accademico, ma almeno altrettanto rilievo dovrebbe essere rivolto a coloro che vanno ancora a scuola, che sperimentano angosce non da meno, di cui il registro elettronico funge di frequente da catalizzatore.

Spunti di riflessione e proposte di miglioramento

Ciò che dovrebbe dar da pensare, aldilà dei casi di seria difficoltà psicologica, è che in generale sembra che ciò che non trova spazio sul registro non esista affatto e ciò che invece vi compare sia tutto. In altre parole, il rosso acceso del mio quattro in Latino infonderà sfiducia e frustrazione, sebbene magari io abbia imparato dagli errori e mi sia impegnata; viceversa, il mio otto in Inglese dal rassicurante verde foglia potrebbe celare lacune alle quali io non presterò la debita attenzione. La psicoanalista Laura Pigozzi, intervistata da Sabina Minardi, sottolinea anche la connessione problematica tra controllo e protezione, tipica degli adulti di oggi, di cui il registro elettronico rappresenterebbe una sorta di “braccio armato”: «Se non esistesse, un ragazzo di fronte a un brutto voto sarebbe obbligato a inventarsi qualcosa, a trovare una strategia per rimediare. Questa vita […] pianificata, prevedibile, gli spegne l’intelligenza».



Che il mero dato numerico non debba essere l’unico e solo specchio in cui gli studenti si riflettono è ormai una convinzione condivisa da molti: ultimo in ordine di tempo, il dirigente dell’Istituto Tecnico per il Turismo Marco Polo di Firenze, Ludovico Arte, che ha avviato la sperimentazione di una sezione senza voti e ha unificato l’anno scolastico abolendo la divisione tra quadrimestri per non svilire l’importanza di ciò che accade tra settembre e marzo.

Sulla scia di questa rinnovata attenzione al benessere di chi sta in classe – fra i banchi ma anche dietro la cattedra – e della apprezzabile capacità di molti educatori di mettersi in discussione e provare a percorrere strade alternative, potremmo provare a immaginare anche un modo diverso di usare il registro elettronico, che non va demonizzato tout court, ma forse neppure ridotto a freddo collettore di dati (ir)rilevanti. Invece, vi potrebbero essere inseriti giudizi un poco più discorsivi, suggerimenti per rinforzare le debolezze, a volte incoraggiamenti stimolanti.

Perché tutti i giorni che B. è riuscita a stare attenta fino alla fine delle lezioni, nessuno l’ha annotato. Come direbbe J., «tanto quello non c’è scritto sul registro elettronico».

Riferimenti bibliografici

  • Sabina Minardi, Lasciate che i vostri figli vi odino, «L’Espresso», 4 giugno 2023, pp. 96-97

Sitografia

https://www.repubblica.it/speciali/repubblica-delle-idee/edizione2012/2013/01/02/news/perch_il_registro_elettronico_un_illusione_educativa-49803899/

https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/scuola-senza-voti-wmol18b4