Dire, fare, insegnare
Dire, fare, insegnare
Dire, fare, insegnare

Unguento e cura

Elisabetta Bulla, studentessa di Filosofia all’Alma Mater Studiorum di Bologna e valutatrice alle semifinali e alle finali del torneo di disputa "Age contra", riflette sull’esperienza delle “Romanae Disputationes”.

Esperienze di insegnamento 
19 marzo 2021 di: Elisabetta Bulla
copertina

Mai come durante gli ultimi mesi si è reso necessario che l’uomo, distrutto da lutti, proibizioni e angosce, si interrogasse sulla realtà, sulle ferite della propria anima e sull’unguento che avrebbe potuto curarle. L’emergenza sanitaria lo ha reso consapevole della frenesia che dominava le sue giornate. Gli è stato chiesto di fermarsi, forse, indirettamente, di addestrare la sua capacità di gratitudine nei confronti di valori essenziali quali salute, benessere, serenità, vita.

Chiunque abbia realmente rallentato il passo è stato invaso da quesiti enormi, dalla risposta affatto scontata, tanta era la loro profondità. Tuttavia, nella nebbia delle preoccupazioni un faro ha illuminato il cammino di studenti e docenti di tutta Italia: l’esperienza delle Romanae Disputationes, la possibilità di filosofare e interrogarsi su una questione evidentemente urgente: “Affetti e legami. Forme della comunità”.

Nonostante l’incremento progressivo dei contagi e la costrizione a lavorare in team a distanza, ho potuto constatare che coloro che avevano deciso di prender parte al concorso fossero accumunati dalla volontà di scrutare nella propria anima emettere in discussione le proprie convinzioni e di propri preconcetti, al fine di far fronte e comprendere in misura maggiore la realtà in cui si è immersi, con la convinzione che un collegamento zoom fosse sufficiente a far sì che l’amore per il sapere continuasse a fertilizzare il proprio terreno interiore.

“Lo studio è sempre comune, non esiste un vero studio che sia solitario”, ha affermato il filosofo Massimo Cacciari in dialogo con il Prof. Marco Ferrari, in occasione dell’evento conclusivo del concorso. Ciascun ragazzo è stato chiamato a confrontarsi con i compagni del suo team, seppur a dividerli fossero uno schermo e chilometri di distanza. Ho avuto l’onore e l’onere di affiancare alcuni teams durante l’ideazione e la realizzazione dell’elaborato: posso dire con certezza di aver fatto esperienza del senso della parola Bellezza. Adolescenti che, nonostante spesso vengano definiti incostanti, negligenti e superficiali, dedicavano parte del loro tempo allo studio comune, alla scoperta di sé. Autentici, desiderosi di normalità, mai si sono dimostrati arrendevoli.

Avendo preso parte, in qualità di valutatrice, alle semifinali e alle finali del torneo di disputa Age contra, ho potuto assaporare la tensione e l’entusiasmo dei ragazzi chiamati a riflettere criticamente e ad argomentare tesi circa la forma ideale di legame sociale, la natura egoista o altruista dell'uomo, la perdita o l’acquisizione della propria libertà nell’innamoramento. Ho notato una grande volontà di mettersi in gioco e accettare una simile sfida. Ho apprezzato la dedizione con la quale gli studenti si sono preparati e la serietà con cui hanno affrontato quest’esperienza, sempre esortati dai loro insegnanti, che non li hanno mai abbandonati, dimostrando attenzione e cura nei loro confronti. È stata, ed è, l’evidente dimostrazione della possibilità di condurre una discussione in modo pacifico, attestando il rispetto nei confronti del proprio interlocutore e la capacità di ascolto, oltre al riconoscimento degli elementi di valore emersi e della fondatezza di argomentazioni avversarie.

Bellezza, speranza, fiducia, cura.

Noi la vogliamo

innalzare

visibilmente, quando invece la felicità

più visibile ci si manifesta solo quando la

trasformiamo dentro.

Dentro, amore, sarà il mondo, e non

altrove.”

Recentemente mi sono imbattuta nella suddetta poesia di Rainer Maria Rilke, contenuta nella raccolta lirica “Elegie duinesi”. Convinti che l’ottenimento di beni materiali conduca alla soddisfazione, troppo spesso dimentichiamo che la felicità autentica è il prodotto del costante esercizio della ragione e dell’intreccio di fecondi legami affettivi.

Come ha sottolineato il filosofo Costantino Esposito in conclusione del concorso Romanae Disputationes, la filosofia è quella pratica erotica che conduce alla rinascita, nell’uomo, delle domande circa il senso ultimo dell’esistenza, una pratica che non porta ad astenersi dalla realtà, ma a radicalizzarla attraverso un’unica, essenziale domanda: perché?

Indubbiamente, le Romanae Disputationes costituiscono un incentivo a porsi quella domanda e, quindi, l’unguento che risana.