Dire, fare, insegnare
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Alberto Manzi: non è mai troppo tardi per cambiare la scuola.

L'operato di Alberto Manzi, uno dei grandi maestri italiani, insegna ancora a oggi a fare "rivoluzione" con intelligenza

Grandi insegnanti 
23 ottobre 2019 di: Redazione
copertina

Tra i maestri del passato che costituiscono ancora oggi una guida nel lavoro di molti docenti, non possiamo non ricordare Alberto Manzi. Fu docente, pedagogista, educatore, autore e conduttore di programmi alla radio e in televisione, scrittore di libri per ragazzi (il più famoso dei quali rimane Orzowei). 

Fu il Maestro di migliaia di italiani che, attraverso la trasmissione sulla Rai Non è mai troppo tardi, impararono a leggere e scrivere, riuscendo così a ottenere la licenza elementare. 

Ma qual è la lectio che gli insegnanti di oggi possono trarre dall’operato di Manzi? C’è, tra i tanti aspetti, l’insegnamento di un fare “rivoluzione” intelligentemente, scardinando giorno per giorno tutti quei meccanismi obsoleti del mondo scolastico nocivi alla formazione degli alunni.

Ecco perché il maestro Manzi rifiutava l’insegnamento nozionistico, contrapponendolo al suo metodo dell’imparare a pensare. Non sopportava la pedagogia senza contenuti e la superficialità delle definizioni e delle regolette dei sussidiari. Le discipline non erano meri contenitori nozionistici ma strumenti utili per capire il mondo, per imparare a rispettare gli altri e se stessi. Partiva dalle esperienze concrete quotidiane per trasformarle in scoperta e occasione di apprendimento. Partiva dalla convinzione che concetto è un processo creativo che si realizza attraverso l’esperienza; pertanto non è possibile trasmettere un concetto mediante un insegnamento diretto se non si vuole un vuoto nozionismo, una ripetizione meccanica di parole che simulano la conoscenza dei concetti, ma che in realtà mascherano un vuoto. 

Si oppose anche alle schede di valutazione ufficiali. Celebre è il suo timbro “Fa quel che può. Quel che non può non fa”, per il quale fu sospeso dall’insegnamento e dalla paga per alcune settimane. Lo scopo del suo timbro era di scardinare i parametri di valutazione tradizionali, che non tengono conto dei percorsi e delle complessità dei ragazzi. Manzi già sottolineava l’esigenza di rispettare l’individualità di ogni alunno e di evitare una valutazione meramente numerica perché comportava inevitabilmente una classificazione dei ragazzi che li avrebbe messi in competizione tra loro, senza tener conto dei loro differenti percorsi. Dunque, sosteneva che il voto fosse un parametro limitativo, etichettante: un numero scritto su uno sterile foglio chiamato “documento di valutazione”.

In memoria della sua attività nel 2008 è sorto il Centro Studi Alberto Manzi, a Bologna, con lo scopo di trasformare l’archivio nel cuore propulsore di progetti e iniziative per potenziare la crescita di un modello educativo fondamentale per la coesione sociale delle comunità.