Dire, fare, insegnare
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Cosa stiamo scoprendo noi

Osservare il cambiamento mentre accade, provare a giudicarlo insieme. Dialogo tra due insegnanti a tre mesi dall’avvio della Didattica a Distanza.

Grandi insegnanti 
01 giugno 2020 di: Pino Suriano, Sabrina Rizzi
copertina

Anche le relazioni tra insegnanti, in queste settimane, sono state costrette alla distanza. Eppure, paradossalmente, alcune distanze si sono accorciate: ciascun docente, in questi giorni, sullo schermo del proprio pc o tablet, tra tutorial e webinar, ha dovuto incontrare e osservare altri docenti “in azione”, non solo in sala docenti. Ciascuno è dovuto entrare in un mondo che non era il proprio, così tutto questo è diventato dialogo, uscita da sé, dalle proprie abitudini e dai propri metodi, “incremento” personale.

Due colleghi di due diverse regioni hanno provato a dialogare sulla scuola che sta cambiando, partendo da alcune grandi domande sullo sfondo.

Cosa accade? Cosa resterà? Cosa stiamo veramente imparando?

Sabrina - È ormai chiara la consapevolezza che nulla sarà come è stato sino al 5 marzo 2020. La scuola si riforma e per la prima volta si riforma davvero “dal basso”. La pandemia è riuscita lì dove nessuna riforma è stata in grado di avviare il cambiamento: da docente “in cattedra” a docente “coach”.

Pino - Comprendo, ma sento la necessità di calibrare le parole. Chi vorrà, in malafede, potrà banalizzare la parola “coach”. Quanti, prima di ridurlo, si sforzeranno di intenderne il senso, e cioè quello di un ruolo di supporto all’agire altrui, per indicare l’azione che rende l’alunno protagonista del suo percorso formativo? A proposito di studenti, dovremmo partire da loro, anzitutto dal loro giudizio. Facciamoci la prima domanda centrale. Piace a loro, questa didattica a distanza?

Sabrina - No. Risposta scontata direi. E anche se piace, dopo qualche settimana di sicuro stanca. Non l’apprezzano i piccoli, perché manca lo spirito di solidarietà, di condivisione delle emozioni che si possono vivere tra i banchi; non l’apprezzano i maturandi, che rimpiangono la comunità, il viaggio d’istruzione, le assemblee di istituto  e forse anche  la  notte prima degli esami. Eppure i miei studenti riferiscono che le spiegazioni occupano un tempo ridotto e che finalmente c’è l’opportunità di parlare ed essere ascoltati. Per loro in DaD risultiamo meno autoreferenziali, più disponibili a far emergere i talenti di ciascuno. E poi, vederci all’opera mentre impariamo il digitale (in un certo senso “studenti” anche noi) ci rende anche più simpatici e vicini. Ovviamente non manca neppure chi, tra i docenti, continua a fare tutto come se ancora quella cattedra ci fosse. 

Pino - Sì, qualcuno si è ostinato al rifiuto, però ho visto anche tanto positivo sussulto da parte dei colleghi, anche quelli che in una fase iniziale erano sembrati più diffidenti. Sarà un passo importante non solo per la scuola ma anche per la società: molti ragazzi si erano nutriti di un certo pregiudizio di demonizzazione del web di noi adulti. Ecco, ora l’occasione è straordinaria perché siamo noi a scoprire il valore possibile della risorsa che loro padroneggiano. Il rapporto di un giovane con la rete ha un potenziale impressionante, ma è stato sempre poco guidato, perché da loro padroneggiato più che da noi. Ora, se in questo rapporto “non guidato” entra un soggetto educante, il tutto diventa una rivoluzione. Hai ragione: l’emergenza cambierà tanto.

Sabrina - Tutto ciò, ovviamente, non significa scardinare l’esistente, ma conciliare il nostro vissuto con quello dei nostri alunni adolescenti, nati e cresciuti nell’era della rivoluzione informatica e tecnologica. Non ci sfugga, però, che le ITC sono il mezzo, mai il fine. 

Pino - So che tu, peraltro, stai facendo un’esperienza “immersiva” proprio in questo senso. 

Sabrina - Sì, un blog culturale, un’agorà virtuale in cui si fa cultura, partendo dai contenuti appresi. Come un mio studente osserva, per la prima volta sta trionfando lo spirito di cooperazione, il voto individuale perde peso, la cultura della collaborazione ne guadagna. Emergono i talenti, perché ciascuno sente di essere libero di esprimere la propria creatività. La DaD è stimolante, se davvero desideriamo metterci in discussione: «l’innovazione e l’intuizione fioriscono quando le nostre menti si trovano in una condizione di maggiore apertura», come afferma Daniel Goleman.

Pino - Come sta andando? 

Sabrina - Rispondo con le loro parole. Angelo, uno di loro, scrive a nome della classe: «La tenacia collettiva nel voler ripristinare, in questi giorni assurdi, una certa normalità, scolastica e non, attraverso la DaD, sta avvicinando le menti e i cuori al di là della lontananza fisica, facendoci sperimentare modi originali per apprendere insieme». Mi parlano poi di un’attesa «carica di aspettative e niente affatto passiva e improduttiva, ma all’insegna della creatività, della cooperazione solidale. È questa la nostra maturità» conclude.

Pino - A quali attori e realtà stai guardando con più attenzione in questi giorni?

Sabrina - Mai come in questo momento le scuole della Rete delle Avanguardie Educative di Indire stanno diventando il punto di riferimento di tanti docenti per le rubriche valutative, le UdA, la didattica per competenze, le buone prassi, ma soprattutto la valutazione formativa sono di grande attualità con l’approssimarsi degli scrutini di giugno. Ma cosa valutare, come valutare? Un percorso che voglia rendere l'alunno protagonista del proprio processo formativo, deve valutare le competenze, conoscenze e abilità in un contesto ignoto; deve valutare la creatività di ciò che sa produrre con ciò che sa, la capacità di collaborare con gli altri, di sapersi confrontare, in sintesi deve saper valutare quel pensiero divergente che apre nuove vie alla conoscenza.Tu, invece, da chi hai tratto spunti?

Pino - In questi giorno ho ascoltato con attenzione le riflessioni pubbliche dello scrittore Alessandro Baricco. Ha detto che affrontiamo i problemi con programmi a lungo termine  e con poco margine di flessibilità (secondo lui è stato anche l’errore di gestione della pandemia) e invece andrebbero affrontati con la mentalità del nuovo mondo digitale, del giocatore di videogame, di chi ha sempre un quadro nuovo davanti a sé ed è pronto a compiere tante piccole azioni flessibili, e anche tanti errori, sempre però con la possibilità di correggerli in tempo. In fondo anche il cuore e la mente di un ragazzo sono un quadro sempre nuovo. Ma come facciamo a essere così “flessibili”? Lo diventiamo quanto più ci accorgiamo che non siamo la fonte della cultura (non possiamo reimparare sempre tutto, come questo mondo dal cambiamento vorticoso sembra richiederci) ma possiamo essere, come prima dicevamo, guide per la loro ricerca. In questo senso, il loro dover fare «da soli ma con noi», triste costrizione di questi giorni, può davvero diventare occasione. 

Sabrina - Per la valutazione?

Pino - Per la valutazione scorgo, con i colleghi, dinamiche nuove. Stiamo scoprendo che una diversità del mezzo muove un diverso atteggiamento verso l’impegno. Mi spiego: soprattutto nelle prime fasi, gli studenti solitamente più responsabili e legati al voto, hanno visto allentare le maglie della valutazione e hanno quindi fatto registrare una certa perdita di motivazione. Al contrario, studenti non molto organizzati nello studio si sono scoperti invece molto attenti alla qualità del prodotto digitale. È un’evidenza: perché non valutarla? C’è chi si scopre capace di una cosa bellissima: la cura del prodotto, che prima non pensava di avere. Forse il più grande fascino del nostro lavoro è proprio questo: vedere nell’altro ciò che prima non si vedeva, e soprattutto farlo vedere a lui stesso.

Sabrina - C’è chi parla del rischio di un maggior controllo dei genitori. C’è chi, impaurito da una lezione che può essere vista, addirittura lo teme. 

Pino - E cosa c’è di più bello? Non mi sembra un rischio ma un’opportunità. Secondo me si vedrà meglio quanto sia difficile un lavoro che da molti è considerato facile e comodo. La gratitudine che da più famiglie giunge in questi giorni ne è un chiaro segno.

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