Dire, fare, insegnare
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Il team degli angeli in 3D di Pietro Balzano

Pietro Balzano, professore di tecnologia all’istituto Galvani-Opromolla, ha condiviso con Dire, fare, insegnare un’esperienza didattica nata da un “nobile gesto”.

Esperienze di insegnamento  Grandi insegnanti 
25 gennaio 2021 di: Pietro Balzano
copertina

Qualche volta la realtà sembra ricalcare un racconto fiabesco “c’era una volta”. Qualche volta la fiaba riesce ad avverarsi. Factum est! È quello che è accaduto alla mia esperienza di docente lo scorso anno, durante il periodo nefasto del lockdown. Avevo iniziato da poco lo studio della prototipazione in 3D con i miei alunni e avevo fatto partire un progetto sulla relativa modellazione matematica e sulla stampa in 3D, quando la diffusione del contagio e la crescita esponenziale della curva di diffusione dello stesso, mi trasferiscono dalla presenza in video e, davanti a uno schermo, comincio a insegnare ai miei studenti, non più passeggiando tra i banchi, ma seduto davanti al PC. Fu in un giorno di marzo, stavo pensando a un modo democratico ed efficace per permettere a tutti i miei ragazzi di potersi collegare in DAD, me ne ricordo benissimo, mentre ero nello studio con la tv accesa, un noto programma del palinsesto mostrò come fosse possibile utilizzare le maschere Decathlon nelle terapie intensive come validi sostitutori dei respiratori, all’epoca, unica terapia per i contagiati da Covid-19 con difficoltà respiratorie. Illustrarono il procedimento di stampa in 3D delle valvole che consentivano la trasformazione e il riutilizzo. A Bergamo i camion militari trasportavano le bare e noi eravamo relegati in casa per paura del contagio: la decisione di contattare il mio dirigente, di ritirare le stampanti 3D e le bobine di PLA dalla scuola e attrezzare il mio garage in un laboratorio pronto a stampare il necessario, fu un rapido susseguirsi di azioni che cercherò di descrivere in 4 fasi, le stesse con le quali ho realizzato un’impresa didattica in un nobile gesto:

Fase 1. Valvole

Le valvole presentavano un problema non secondario: l’attacco si rompeva, non riuscivano a reggere a lungo il passaggio di ossigeno. Condivisi il problem solving con i miei allievi e iniziammo a studiare insieme la soluzione per rafforzare le valvole: mi sembrava di lavorare in un team di colleghi, i ragazzi si impegnarono a ricercare risposte disegnando, valutando e modellando con grande partecipazione. Dopo giorni di impegno, valutando la versione definitiva, grazie all’arrivo di quaranta maschere, spedimmo il tutto ai nosocomi di Battipaglia e di Bergamo con i nostri più sinceri “in bocca al lupo”.

Fase 2. Visiere

Contestualmente alle maschere, fui contattato dall’infermiere Catello Pezzatini dell’ospedale Umberto I e dall’infermiera Monica Bove, i veri eroi del primo, tristissimo periodo di contagio. Il problema era grave: in ospedale mancavano visiere protettive per il personale medico e infermieristico e non si riuscivano a trovare. Bisognava stamparle in 3D in una certa quantità e ovviamente progettarne la forma. L’indomani, in classe, partecipo il problema al mio team di piccoli supereroi e, mettendo in comune le idee, pensammo di utilizzare fogli acetati A4 come visiera e filamenti di PLA come parte frontale. Dopo una settimana le due stampanti, lavorando 24 ore su 24, realizzarono il numero sufficiente di visiere per l’Umberto I. A questo ospedale, purtroppo, se ne aggiunsero altri… Eboli, Nocera, Cava de’ Tirreni e Ponticelli.

Fase 3. Salvaorecchie

Negli ospedali, però, divennero un grave problema, sentito fisicamente da infermieri, medici e malati, le lesioni al padiglione auricolare provocate dall’elastico delle mascherine, indossate a lungo per difendersi dal pericolo del contagio. L’infermiera Monica Bove, mi mostrò una sua soluzione personale e rudimentale: un cartoncino appoggiato dietro al collo per evitare che l’elastico le ferisse la parte posteriore delle orecchie. Fu una folgorazione didattica da partecipare ai miei giovanissimi studenti! Durante la lezione del giorno seguente, arrivarono i primi disegni ed i primi suggerimenti. Leggeri, morbidi e soprattutto indolori, i salvaorecchie ebbero il loro modello condiviso: bisognava impostare le stampanti in modo da soddisfare tutte le caratteristiche, ma ci riuscimmo, dividendo l’operatività delle stampanti: una avrebbe realizzato visiere mentre l’altra solo salvaorecchie. 

Che emozione constatare che i nostri salvaorecchie fecero e continuano a fare il giro della penisola e ad arrivare a supportare i medici del Perini di Aosta, dei nosocomi di Nocera, Cava de’ Tirreni, Ponticelli, Casal Monferrato, 118 e di chiunque ne facesse richiesta.  

Fase 4. Reggiflebo

Nello stesso periodo del lockdown, due infermieri dell’Ospedale di Nocera mi sottoposero un’altra recente difficoltà, quella dell’aggancio delle flebo che non avevano più una forma cilindrica ma rettangolare e di plastica. Occorreva pensare a un alloggio più consono che le avvolgesse e le reggesse. Ancora una lezione per i miei allievi della SSPG Galvani-Opromolla, ancora una volta uno studio di caso per la loro intelligenza. La sfida era grande, come il loro cuore. Si doveva trattare di un prodotto resistente e veloce da utilizzare facilmente perché chi cambia le flebo di solito esegue la manovra rapidamente. Lo abbiamo fatto, ne siamo fieri!

Reputo che dal punto di vista umano questa sia stata la più bella esperienza che io abbia mai fatto, durante questo viaggio ho conosciuto dottori, infermieri, volontari e la cosa che li accomuna sono gli occhi, quando gli porti quello che hanno richiesto hanno gli occhi di chi ti vuole ringraziare e non sa come e in quegli occhi io mi perdo cerco la battuta veloce per uscire da quella situazione. Io non so come si lavori in Ferrari o alla Nasa ma quando vedo lavorare il mio piccolo team penso che si lavori più o meno così.