Dire, fare, insegnare
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Intervista con Ranjitsinh Disale, il vincitore del "Global Teacher Prize 2020"

Dire, fare, insegnare ha intervistato per voi Ranjitsinh Disale, il vincitore dell'edizione 2020 del "Global Teacher Prize".

Esperienze di insegnamento  Grandi insegnanti 
03 febbraio 2021 di: Ranjitsinh Disale
copertina

Nella prima parte di questa intervista esclusiva Ranjitsinh Disale racconta alla redazione di Dire, fare, insegnare gli esordi della sua esperienza come docente, le sfide che si è trovato a fronteggiare e le iniziative che lo hanno portato a vincere il "Global Teacher Prize".

Lei insegna alla scuola primaria dello Stato del Maharashtra. Come descrive la scuola che ha trovato quando ha iniziato a insegnare là?

Quando ho iniziato a insegnare alla scuola primaria Paritewadi, a gennaio 2009, il dirigente scolastico della scuola mi ha accompagnato in quella che sarebbe stata la mia classe e mi ha detto “Ranjitsinh, questa sarà la tua aula”. Davanti ai miei occhi vedevo in realtà una stalla, non un’aula! Confuso gli ho chiesto conferma: “Devo davvero usare questa come aula? È una stalla, ci sono persino delle mucche”; e lui mi ha risposto: “Si, questo è lo spazio messo a disposizione per noi dal Governo. Dovrai insegnare qui”. E se ne è andato.

Sono rimasto sconvolto in quel mio primo giorno da insegnante. Avevo solo vent’anni, e non mi sarei mai potuto immaginare che una scuola potesse usare una stalla come aula per le lezioni. E la storia non finisce qui! Ho impiegato sei mesi per poterla utilizzare veramente perché ho dovuto anche avere a che fare con un signore che diceva di essere l’effettivo proprietario di quella stalla, che un giorno arrivò persino a lanciarmi sassi per farmi andare via.

Ma io ero determinato: quella era la mia aula, mi sono detto. Così dopo sei mesi è persino intervenuta la polizia, il signore è stato costretto a cedere, e io ho finalmente potuto iniziare a fare lezione.

Non proprio un inizio ideale e i problemi non si sono limitati a questo. Oltre ad avere una stalla come aula, sono rimasto molto colpito dal forte disinteresse da parte dei genitori verso l’educazione dei figli: avremmo dovuto usare una stalla come aula e nessuno dei genitori batteva ciglio.

Nessuno era interessato a cambiare le cose, ma per me questo primo incidente è stato un motivo in più impegnarmi. È lì che ho deciso che avrei cambiato le cose. Ero e sono convinto che gli insegnanti possano cambiare lo status quo, e nel mio caso, far cambiare il sistema educativo, l’approccio stesso all’educazione, sia quello istituzionale sia quello degli studenti stessi.

Al tempo ero molto giovane e credo che anche questo abbia aiutato ad accendere la mia passione per trasformare quel sistema educativo che ho visto nel mio primo giorno da insegnante.



Lei è stato insignito del Global Teacher Prize 2020 perché “ha cambiato la vita delle ragazze salvandole dalla pratica delle spose bambine”. In che modo ha agito per perseguire questo obiettivo?

Quando ho iniziato a insegnare, durante i primi sei mesi in cui ho cercato di dare avvio alle lezioni, ho visitato tutto il villaggio e ho iniziato a raccogliere dati e informazioni sullo stato dell’educazione nella zona, sulla situazione economica, sulle pratiche culturali e sulla percezione che le persone avevano dell’educazione.

Da questa analisi ho capito che c’erano tre cose sulle quali bisognava intervenire: la prima era cambiare l’atteggiamento dei genitori verso l’educazione, la seconda era riuscire ad avere in classe il 100% delle ragazze e la terza sradicare la cultura dei matrimoni tra minori, in particolare le spose bambine.

La mia strategia era semplice: ho dato vita a un programma chiamato “Campagna per la partecipazione della comunità”. Mi sono trasferito nel villaggio, iniziato a partecipare alla vita della comunità, agli eventi familiari e religiosi cercando di instaurare un dialogo volto alla comprensione. Questo mi ha aiutato moltissimo a “generare cambiamento”, penso che un dialogo positivo e continuo sia lo strumento migliore per farlo.

Non credo che imporre le proprie idee sugli altri sia produttivo, mentre se si instaura un rispetto reciproco allora il cambiamento diventa possibile, soprattutto un cambiamento di mentalità. Invece che dire “L’istruzione è fondamentale e dovete capirlo” o “far sposare le bambine a tredici anni è assolutamente sbagliato” ho preferito un approccio nel quale, prima di tutto, mostravo i risultati dell’istruzione, per esempio invitando in classe le ragazze di altri villaggi: dottoresse e donne che portassero le loro testimonianze.

Queste iniziative sono diventate una fonte di ispirazione per le ragazze nella mia classe: vedere che cosa possono davvero fare le donne. E ha funzionato nel motivare le ragazze a continuare la loro istruzione, nel portare a termine i loro studi per ottenere un lavoro che davvero volevano fare.

Come ho detto, la strategia è semplice: mostrare i risultati del cambiamento, e instaurare un dialogo soprattutto con i genitori.

Le famiglie degli studenti la hanno supportata nel processo di cambiamento o ne erano spaventati?

Soprattutto all’inizio, quando si cerca di cambiare qualcosa, è inevitabile che ci sia dell’opposizione. Non volevano cambiare “se stessi”. All’inizio ho ricevuto persino delle minacce da alcune famiglie che non volevano cambiare il loro stile di vita e non erano aperte al dialogo.

Ma come dicevo prima ho cominciato passando del tempo con le famiglie, prendendo il tè, bevendo caffè e partecipando alle questioni famigliari. Volevo che mi considerassero un amico, un loro membro. In questo modo, un po’ alla volta, hanno smesso di vedermi come un esterno, uno “straniero”. E proprio come un membro della famiglia ho iniziato a dare consigli e progressivamente sempre più persone si sono accorte che i consigli funzionavano. Non entravo in merito dell’educazione, ma davo suggerimenti economici, per esempio quali sementi comprare o quali alberi far crescere nel parco. Le persone hanno iniziato a considerarmi come un punto di riferimento, e l’utilità effettiva dei miei consigli li ha portati a fidarsi di me, e a cambiare disposizione d’animo verso il cambiamento.

La dispersione scolastica è un fenomeno in progressivo aumento, soprattutto da quando è iniziata l’epidemia da Covid-19 e le conseguenti restrizioni sociali. Come ha vissuto questo fenomeno nella sua scuola e come ha provato a combatterlo?

In tutta sincerità, il lockdown non ha cambiato molto le cose, perché nella mia scuola la presenza in classe era già molto bassa. Quello che ho cercato di fare è stato “portare la scuola a casa degli studenti”, o meglio rendere casa loro un posto dove potevano continuare a imparare.

Soprattutto con il lockdown mi sono concentrato di più sullo sviluppo delle competenze piuttosto che sul curriculumtradizionale. Quello che ho rapidamente scoperto è che le famiglie e la natura erano le migliori fonti di conoscenza per i miei studenti.

Poiché durante la pandemia non ci sarebbe stata interazione regolare con gli studenti, ho pensato che avrebbero potuto continuare il loro apprendimento grazie a questi due elementi: famiglia e natura.

Le faccio un esempio: ho preparato delle attività che dessero spazio alla creatività dei miei studenti, su periodi abbastanza lunghi - dieci o quindici giorni - e per completare queste attività avrebbero dovuto interagire con la natura e con le loro famiglie. Spesso i ragazzi vivono con anche insieme ai nonni e, come è noto, i nonni “la sanno sempre lunga”. Così ho chiesto ai miei studenti di interagire con i loro nonni, di raccogliere informazioni su cosa sanno i loro parenti sulla natura, sulla scienza, sulla salute e non solo. Allo stesso tempo ho anche assegnato delle tabelle da compilare con vari dati: quanta acqua usava la loro famiglia durante il lockdown, quanta elettricità, le temperature registrate nel villaggio e così via. Dopo aver raccolto i dati, dividevo i ragazzi in piccoli gruppi e ne discutevamo: gli chiedevo di mettere in evidenza alcune relazioni tra i dati, come per esempio i cambiamenti nel consumo di acqua legati al cambiamento di temperatura. Grazie a queste attività, i bambini hanno potuto riflettere sull’importanza dell’acqua senza che io dicessi esplicitamente “L’acqua è una risorsa importantissima” e “È fondamentale proteggere la natura”.

Impostando l’apprendimento sui progetti, i miei studenti hanno trovato un rinnovato interesse per l’apprendimento, perché ne erano parte attiva, si divertivano mentre imparavano. Direi che è anche per questo che nella mia classe il lockdown non ha portato a un aumento dell’abbandono scolastico.

Gli studenti non si sono mai annoiati, e sono stati stimolati da alcuni premi che prevedevo alla fine delle attività: chi le portava a termine, riceveva una medaglietta! E hanno fatto a gara per riceverne di più! Quindi si, direi che è stato proprio grazie a un approccio attivo all’apprendimento che non ho avuto problemi di abbandono durante il lockdown.



Per saperne di più sul "Global Teacher Prize", sulle motivazioni della vittoria del professor Disale e sugli altri candidati è sufficiente seguire questo link.