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"Portami il diario" e la scuola sui social: intervista a Valentina Petri

Valentina Petri ci racconta in un'intervista com'è nata la pagina Facebook "Portami il diario", oggi diventata un libro.

Editoria  Grandi insegnanti 
07 settembre 2020 di: Valentina Petri
copertina

Dal 2017 Valentina Petri condivide le sue storie di vita e scuola quotidiana sulla pagina Facebook "Portami il diario", oggi diventata un libro. L'abbiamo intervistata per parlare della sua esperienza, dei social a scuola e delle nuove sfide che attendono gli insegnanti al rientro a settembre. 

Come è nata l’idea della pagina Facebook “Portami il diario” e qual è, a suo parere, il segreto del suo successo?

Già da prima di insegnare ho sempre scritto su di un blog anonimo, raccontando quello che mi capitava. Il passaggio alle superiori è coinciso con l'apertura di una pagina Facebook dedicata esclusivamente a raccontare la scuola. Scrivere mi piace e mi serve da sempre, anche come terapia: mi serve a ricordare le cose e le persone, metto in ordine i pensieri, rivedo le situazioni sotto una luce diversa. Inoltre mi piace l'idea di raccontare la scuola alla mia maniera, evidenziandone le criticità con ironia, ma sottolineandone anche l'aspetto più umano e divertente. La scuola è un microcosmo interessantissimo, un osservatorio privilegiato della società. E poi ci sono i ragazzi. E i ragazzi non sono solo quelli che ci raccontano i tg, irresponsabili, spacconi, ignoranti. C'è moltissimo sotto quelle felpe col cappuccio.Non lo so perché la mia pagina funziona. È come il calabrone, quello che non potrebbe volare per peso e apertura alare, ma lui non lo sa e vola. Mi hanno detto che è l'esatto opposto di quello che bisogna fare su Facebook. Non ci sono immagini, solo testi per lo più lunghi. Eppure vengono letti e condivisi, anzi è tutto iniziato con passaparola e condivisioni e sono sorpresa io per prima. Credo sia perché quello capita nelle mie classi, in fondo, capita un po' nelle classi di tutti.

Perché ha deciso di scriverne un libro? E che cosa racconta?

Il mio libro racconta la scuola, anzi un anno scolastico intero, visto con gli occhi di una prof che per tutti è Quella Nuova, l'ultima arrivata. Si comincia con settembre, le nomine dei supplenti (che è un meccanismo da spiegare, perché la gente non ha idea di che razza di mercato del pesce sia), passando per tutti i momenti classici dell'anno (i consigli di classe, gli scrutini con il registro elettronico che si blocca, le uscite didattiche dove si perdono i colleghi e non gli studenti), sino all'ultimo giorno di scuola e gli esami di maturità. Ci sono gli amori, gli scherzi, le speranze, le incazzature. La scuola non cambia mai, ce la ricordiamo tutti. Non ho voluto raccogliere i post e basta, ma raccontare, come nel libro Cuore, un anno particolare, in classi particolari come sono quelle di un istituto professionale dove le mie materie, quelle umanistiche, non sono esattamente le più amate. Eppure, poi, qualcosa scatta sempre e anche Quella Nuova si trova a fare i conti con il pensiero di trasferirsi e la voglia di restare.

I suoi studenti leggono la sua pagina Facebook? Quale dovrebbe essere, a suo parere, il rapporto degli studenti rispetto ai social?

Portami il Diario è rimasta anonima per tanto tempo. Mi divertiva vedere certi miei post condivisi dai colleghi o da qualche alunno, senza che si sapesse l'autore. Ora che, con l'uscita del libro, sono uscita dall'anonimato devo confessare che non è cambiato nulla. Non ci sono nomi, le situazioni sono reali ma raccontate sempre in modo romanzato, nessuno viene nominato esplicitamente e nessuno è riconoscibile. Anzi, è bello quando i colleghi mi dicono di aver in classe soggetti simili, perché le tipologie dei ragazzi a quell'età si somigliano un po', anche se ciascuno è unico. Alcuni, i più grandi, oggi già maturi, so che mi leggono, perché me l'hanno detto, oppure vedo il like sotto ai post.I ragazzi giovani, comunque, su Facebook non ci sono più. Loro sono su Instagram, su Tiktok, Facebook è "roba da vecchi". Infatti ci sto io. Non so quale debba essere il rapporto degli studenti con i social, ho avuto la fortuna di vivere l'adolescenza in un periodo più facile, per quanto lo possa essere l'adolescenza. Ma so che la nostra responsabilità è quella di insegnare ilsenso critico. Non serve vietare o demonizzare, bisogna mettersi al loro fianco, guardare quello che guardano, capire quello che ascoltano e aiutarli a comprendere cosa è offensivo, ingiusto, falso, strumentale.

Stiamo cercando di uscire da un anno difficilissimo, soprattutto per il mondo della scuola. Quanto è importante la condivisione tra colleghi e insegnanti, in questa situazione critica ma anche nella “scuola di tutti i giorni”?

Tanto. Quando ci si trova bene in una scuola è perché con i colleghi si instaura un buon rapporto. E mai come quest'anno fare lavoro di squadra è stato difficile, perché eravamo tutti coi pantaloni del pigiama a videochiamarci, ma ci è mancato lo scambio continuo. Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto, davvero. Ma la scuola è anche trovarsi nel corridoio e scambiarsi due parole su di un alunno, prestarsi un testo che funziona, lasciarsi uno schema nel cassetto, capire la nuova riforma chiacchierando nell'ora buca. La scuola si fa a scuola, sia per quanto riguarda la parte didattica che per quella umana.

Cosa auspica per la scuola del futuro, e per il rientro a settembre?

Sinceramente sono preoccupata. Ho sentito molto parlare di banchi con le rotelle ( i miei alunni hanno già promesso di truccarli in officina per renderli più...ehm...performanti) ma sul rientro c'è molta incertezza. Io spero, mi auguro di tutto cuore che vada tutto bene. Soprattutto spero che si possa fare lezione in presenza e in sicurezza il più possibile. Ma se fossimo costretti ad affrontare nuovamente una situazione di emergenza...sarà come in primavera. Le fragilità della scuola sono venute tutte alla luce: i problemi all'edilizia, le classi numerose, la scarsa dotazione tecnologica di alcuni studenti, l'assenza di rete. Sono state trovate soluzioni temporanee, non un cambiamento radicale per cui, comunque, ci vuole tempo. Di sicuro ce la metteremo tutta, perché se c'è una cosa che quest'anno scolastico ci ha insegnato, pur con tutti gli errori che possiamo avere commesso, è che la scuola non si ferma. Mai.

Si ringrazia Davide Bricco per l'immagine in copertina.