Dire, fare, insegnare
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Come rapportarsi al digitale nella scuola del terzo millennio?

La nostra intervista ad Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, che presenterà a Edufest un intervento sulla digitalizzazione dell’apprendimento.

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22 maggio di: Redazione
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La tecnologia è un amplificatore, ma, a lungo andare, può anche inibire alcune abilità e competenze. La tecnologia è più utile o più dannosa nella prima infanzia e nella scuola primaria?

Certamente è più dannosa. Abbiamo molte evidenze anche da parte della ricerca scientifica; proprio le neuroscienze hanno mostrato come i bambini che rimangono a lungo esposti a strumenti tecnologici e interazioni con gli schermi, sono soggetti a un doppio danno. Un danno diretto, legato alla dipendenza, e un danno indiretto, cioè il fatto che mentre interagiscono con gli schermi non stanno facendo quelle cose dentro alla vita reale che servirebbero loro come allenamento alla vita. Le neuroscienze dimostrano che quindi alcune aree che hanno bisogno di uno sviluppo-fase specifico, che preparano il bambino alle abilità e alle competenze per l’apprendimento nelle fasi successive dello sviluppo, rimangono aree fragili e connotate da tutta una serie di strutture che non si sviluppano bene.

In alcuni istituti secondari è stato vietato l’utilizzo dello smartphone. Significa che non è un valido strumento per il ripasso e, più in generale per l’apprendimento? Che ruolo può avere la scuola nell’educare ragazzi e ragazze a vivere in modo sicuro tra reale e virtuale?

Le scuole che rinunciano all’utilizzo dello smartphone si rivelano, alla luce dei dati di ricerca, scuole in cui le competenze di socializzazione dei ragazzi migliorano. Quando parliamo di scuole senza smartphone intendiamo scuole in cui al mattino si deposita il cellulare in box appositi, e lo strumento resta lì fino alla fine della giornata e può essere ritirato solo una volta concluse tutte le attività scolastiche.

In queste scuole anche la valutazione scolastica registra un incremento. Esistono alcuni studi, svolti negli Stati Uniti, che presentano un drastico miglioramento nelle valutazioni degli studenti sottoposti a test standard dopo che la scuola è diventata smartphone free. Questo è legato al fatto che si riduce in modo significativo la frammentazione dell’attenzione, infatti quello dello smartphone è un pensiero interferente continuo per cui il ragazzo, anche se si trova a scuola, sta pensando a cosa sta accadendo nella sua vita social. Un esempio concreto è quello di BeReal: un social media che richiede di scattare una foto di se stessi nel momento in cui arriva un avviso sull’applicazione. Questo porta i ragazzi, benché stiano seguendo la lezione, a pensare costantemente se sia arrivato il momento di scattare un BeReal.



Dobbiamo quindi concludere che la scelta di diventare una scuola libera dagli smartphone produce dei vantaggi. Non va neanche trascurato che la scuola è oggi il luogo di maggior socializzazione per ragazzi e ragazze, e siccome ragazze e ragazzi sono impoveriti e indeboliti in termini di competenze socio-relazionali, mantenere il luogo di maggior relazionalità nella vita reale libero dalle interferenze e dalla presenza dei social media, non può che essere vantaggioso.

Ricordo poi che noi a scuola possiamo fare educazione al digitale ed è un’educazione importante perché è come la scuola guida: ancora prima di salire sull’automobile ci si occupa di conoscere le regole del gioco, l’ambiente in cui ci si muoverà e si apprendono tutte quelle abilità, competenze, conoscenze e informazioni che saranno utili. Lo stesso vale per quello che serve a muoversi bene nel territorio dell’online. Siccome è un lavoro che spesso i genitori non sono in grado di fare perché non hanno le competenze necessarie, portare l’educazione digitale dentro alla scuola è molto importante. Allo stesso tempo, però, questo non deve sdoganare l’idea che nel momento in cui si è fatta educazione digitale si sia pronti a usare gli strumenti elettronici. Per riprendere l’esempio della scuola guida: noi potremmo anche dare a un dodicenne le regole del codice della strada, ma resta il dato di fatto che bisogna aspettare 18 anni per essere abili dal punto di vista cognitivo a gestire la complessità della guida di un’auto.

Come si trova il giusto equilibrio tra analogico e digitale a scuola e fuori da scuola?

Trovare l’equilibrio oggi è un’impresa complessa perché dobbiamo dotarci anche di un criterio legato a all’età del minore. Sotto una certa età il minore è un po’ come Pinocchio che sulla strada per andare a scuola incontra Lucignolo: non ha le competenze per dirsi da solo che è importante restare dentro al territorio dell’apprendimento e quindi preferire la scuola. Questo, credo, è un problema enorme che abbiamo oggi in tutto il mondo: nel momento in cui usiamo le tecnologie come strumenti per l’apprendimento, fatto che potrebbe essere anche molto adeguato, dimentichiamo che quegli strumenti sono in realtà dei veri e propri ambienti. I ragazzi nello smartphone possono avere contemporaneamente un’app di calcolo e tutto il loro mondo sui social media. Questi possono diventare un distrattore potentissimo che toglie i ragazzi dai compiti di studio e li proietta in contenuti che non hanno niente a che fare con i loro bisogni di apprendimento.



Questo aspetto è particolarmente vero soprattutto fino ai 14-15 anni, ovvero quell’età in cui il cervello emotivo degli studenti e delle studentesse è molto più vulnerabile all’attrattività proposta dall’ingaggio dopaminergico dei social media, dei videogiochi, di tutto quello che c’è nell’online.

È davvero difficile generare un equilibrio prima dei 14 anni. In questo senso dovremmo essere coerenti con quello che ci dicono le neuroscienze per favorire il ritardo dell’uso della tecnologia. Come strumento didattico la tecnologia è utile a creare lezioni più ricche, ma è compito del docente usarla bene e non bisogna presupporre che la tecnologia serva nei compiti di studio autonomo e di organizzazione dell’apprendimento autonomo dello studente, perché vuol dire mettere in mano uno studente una cosa che non funziona come il libro, il quaderno e la penna.

Per un approfondimento sul ruolo di famiglie ed educatori nel rapporto con il digitale, segnaliamo l’ultimo titolo di Alberto Pellai, Allenare alla vita appena pubblicato per Mondadori.