
Parlare in classe del dopoguerra e rendere l’idea della povertà estrema del paese non è facile, parlare del divario incredibile fra Nord e Sud neppure. Far comprendere poi il ruolo del partito comunista come forza sociale attiva e solidale, dei suoi militanti, portatori di un’ideologia sconosciuta alle masse ma capaci di comunicarla con un impatto significativo, è ancora più arduo. Per fortuna, per temi complessi da trattare in aula e fuori dall’aula, c’è chi sceglie di raccontare storie difficili per mestiere e sceglie di farlo con emozione, eleganza e semplicità.
Per questi argomenti in particolare lo ha fatto Viola Ardone, che nel suo romanzo, “Il treno dei bambini”, racconta un paese a brandelli che cerca di ricostruirsi. E ce lo racconta con lo sguardo vivace e intuitivo di un bambino. Amerigo, 7 anni, sbalzato da un quartiere povero di Napoli alla Bassa modenese, trova il benessere contadino e l’affetto, la generosità ma anche il pregiudizio.
Tratto da una storia vera, “Il treno dei bambini”, racconta con leggerezza l’incontro e lo scontro di mondi diversi, che si uniscono e collaborano per l’unica cosa che conta davvero: il futuro dei propri figli. Nel farlo traccia un quadro vivace, pieno e brulicante del dopoguerra e della società italiana coeva. Con una lingua viva, piena e diretta, com’è quella di un bambino, Viola Ardone guida il lettore nella storia e lo fa appassionare a un romanzo breve e intenso.
Grazie al taglio particolare del punto di vista il libro è adatto anche ai lettori più giovani, ma è consigliatissimo per lettori dai 14 anni in su e perfetto per introdurre in classe, alla fine della secondaria di primo e secondo grado, alcune tematiche della storia “recente”che spesso si fa fatica a inquadrare.
Voto:
