
“Nostalgia” è l’ultimo film di Mario Martone, presentato con grande successo di pubblico a Cannes: pur senza il riconoscimento di premi ufficiali, è opera di notevole valore. La storia si basa sul romanzo omonimo di Ermanno Rea che racconta il ritorno di Felice Lasco (interpretato da Francesco Favino) nella sua città, Napoli.
Da qui Felice era fuggito a quindici anni in seguito a un drammatico fatto che ha segnato la sua vita e il rapporto con Oreste, l’amico fraterno, scapestrato e malavitoso. Un tempo pronto a battersi uno a tre per lui, Oreste è diventato un boss della camorra, al quale Felice si sente profondamente legato.
Il legame è reciproco, ma sbilanciato: troppo diverse sono state le strade che i due hanno imboccato, parte per scelta e parte per tragica necessità. Questo procedere sulla linea sottile tra possibilità di scelta e predestinazione segna la storia di Felice e del suo antagonista.
I giovani del rione Sanità
È lo stesso percorso in difficile equilibrio che vivono anche i giovani della parrocchia del rione Sanità, che nel film vediamo raccolti intorno alle iniziative di don Luigi, il prete ispirato alla figura reale di padre Antonio Loffredo, che ha offerto loro nuove prospettive di futuro attraverso la cultura, la musica e la boxe, e l’opportunità di vivere e realizzarsi nella loro città. Felice non ha potuto farlo e perciò ora cerca di riannodare i fili spezzati.
Quello che più ci sembra vitale e importante nella sceneggiatura di Mario Martone e Ippolita Di Majo è proprio la rappresentazione dell’aria che si respira alla Sanità (nome di per sé emblematico): radicandosi nella cultura e nel sentire della società partenopea, esaltandone le componenti positive e fertili, don Luigi apre strade concrete ai giovani del quartiere, liberandoli dalla predestinazione all’emarginazione e alla criminalità.
Così l’orchestra e lo studio del violino sono per un ragazzo un’alternativa reale allo spaccio di droga, che sarebbe lo sbocco naturale se restasse nelle logiche chiuse della sua famiglia. Con tutti don Luigi dialoga, riuscendo a sfruttare ogni appiglio positivo e senza mai rinunciare alla coerenza del suo messaggio etico e religioso.
Come Virgilio, don Luigi ci accompagna in una sorta di viaggio negli Inferi. Così incontriamo la neo-laureata che fa la guida nel cimitero delle Fontanelle, diventato attrazione turistica, risorsa economica e culturale del quartiere a partire dal profondo significato che ha nella vita di Napoli il dialogo tra vivi e morti come esperienza quotidiana. Ai morti ci si rivolge per confidare le pene e le aspirazioni di una difficile vita terrena, perché i morti sanno ascoltare, come ci ricorda il culto del “teschio con le orecchie” venerato a Santa Luciella ai Librai, nel cuore di Spaccanapoli.
Il cinema-verità di Martone
Martone pedina Felice nei vicoli e nel ventre sotterraneo di Napoli, seguendo le indicazioni della poetica neorealista del grande Zavattini. Per un tratto è don Luigi che guida Felice: lo “rieduca” e gli offre l’opportunità di tessere rapporti autentici e sinceri con i ragazzi della Sanità e con un immigrato col quale Felice può mettere a frutto il polilinguismo acquisito negli anni di lavoro in nord-Africa.
«Mi interessava il labirinto – dice Martone –, la scacchiera di questo quartiere molto particolare dove i personaggi compiono il loro percorso. Il film non ha una messa in scena tradizionale, era necessario buttarsi tra le strade, come accadeva nel Neorealismo e nella Nouvelle Vague.» Per Favino è stata un’esperienza viscerale: «In quel luogo, in quello spazio, in quel tempo, mi sono completamente perso. Non è possibile piegare la Sanità alle regole del cinema e grazie a questo film ho scoperto una libertà espressiva che non credevo di avere».
Il protagonista, e con lui lo spettatore, intraprende infatti un percorso di conoscenza e riconquista di sé che si svolge a molti livelli: antropologico, culturale, storico, psicoanalitico, linguistico, sociologico, etico-religioso: a dimostrazione della ricchezza e della profondità del film e della sua fonte letteraria.
L’amore per Napoli nel libro e nel film
Ermanno Rea (1927-2016), scrittore, giornalista e fotografo, è un autore da riscoprire e leggere a scuola. Tra le sue opere ricordiamo anche La dismissione, sullo smantellamento degli stabilimenti ILVA di Bagnoli, che Gianni Amelio ha trasposto liberamente nel film “La stella che non c’è” (2006). L’amore per Napoli di Martone e di Rea si percepisce nelle inquadrature come sulle pagine, in cui si ritrae la bellezza e il degrado di questa straordinaria città, proiettata nel Mediterraneo e ponte verso le coste africane.
Mario Martone sottolinea: «Ciò che si racconta in questo film nasce dalla cronaca ma io volevo andare altrove, verso un sentimento misterioso da cercare durante le riprese. Tutto viene inghiottito dal quartiere, gli anni così distanti di cui si racconta, il Medio Oriente dove era finito il protagonista, i sogni, le sfide, le colpe. Ho invitato gli attori e la troupe a immergersi nel quartiere come se fosse un labirinto e a non temere di perdersi. Macchina da presa in spalla, abbiamo cominciato a percorrere le strade come se si trattasse di cinema del reale. Incontro dopo incontro, vita dopo vita, storia dopo storia, abbiamo finito per girare l’ultima scena chiedendoci quale ne era il senso, e non l’abbiamo più trovato. Forse non c’era, forse non c’è. C’è il labirinto e c’è la nostalgia, che sono il destino di tanti, forse di tutti.»
Emblematiche le parole di Pier Paolo Pasolini che aprono il film: “La conoscenza è nella nostalgia: chi non si perde non possiede”. Qual è allora il senso? L’interrogativo resta aperto nel finale, ma le contrapposizione tra chi ha imparato a vivere nella luce e nella solidarietà e chi si nasconde solitario nell’ombra è limpida: non basta la morte a mettere la parola fine alla vita di chi ha saputo condividere valori ed esperienze solidali. Un tema su cui si può avviare una riflessione aperta con gli studenti in classe, poiché questo film parla di giovani e ai giovani.
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