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In vacanza dai compiti: l'estate in Svezia

Elisa Bastiani racconta come la Svezia abbia fatto dei compiti una questione sociale.

Scuole nel mondo 
30 maggio di: Elisa Bastiani
copertina

L’allergia svedese

L’estate avanza a grandi passi e in Svezia, come in Italia, gli studenti diventano sempre più smaniosi di lasciare le aule e dedicarsi ad attività ludiche e vacanziere. Per molti alunni italiani le vacanze, tuttavia, non significano un abbandono totale del percorso di apprendimento. Molti bambini delle scuole elementari e medie ricevono liste piene di compiti delle vacanze e per molti liceali l’estate è un momento dedicato al recupero delle materie insufficienti. In entrambi i casi si tratta di ore di studio che l’alunno dovrà investire durante il suo tempo “libero”. In Svezia no. In Svezia la parola vacanza è intesa alla lettera, secondo il suo significato latino legato all’assenza di doveri, in questo caso scolastici. Provare a mettere in discussione questo principio è qualcosa che non passerebbe per la mente a nessuno. Questa “allergia” per i compiti a casa non coinvolge soltanto il periodo delle vacanze, ma in generale tutte le forme di interferenza della scuola al di fuori delle ore scolastiche.

Tra legge e pratica didattica

La legge svedese non impedisce agli insegnanti di inviare compiti a casa e il Ministero dell’Istruzione dice che la decisione di inviare compiti a casa, a qualsiasi livello scolastico, spetta al preside e al corpo docente della scuola. Tuttavia, qualora si introducessero come regola i compiti a casa, sarà dovere degli insegnanti anche preparare il materiale, chiarire lo svolgimento agli studenti e dare feedback. Inoltre la quantità dei compiti dovrà essere calibrata per rispettare il diritto del bambino al tempo libero secondo la Convenzione Internazionale dei Diritti del Bambino. Fin qui, niente di strano e niente di nuovo. Tuttavia il dare o non dare compiti a casa in Svezia non è una questione didattica o pedagogica da discutere nelle università o nei gruppi Facebook tra insegnanti. È una presa di posizione politica.

I compiti a casa come politica

Nel 2010 il Partito della Sinistra Svedese propose l’abolizione per legge dei compiti a casa. La motivazione di fondo era, ed è, di carattere sociale: i genitori di famiglie agiate e di alto livello sociale aiutano i loro figli con i compiti oppure pagano doposcuola che possono farlo. Le famiglie di bassa estrazione sociale a stento capiscono cosa il bambino o il ragazzo è tenuto a svolgere come compito e quindi non forniscono alcun supporto o aiuto. Il successo del bambino sarebbe dunque il risultato dell’estrazione sociale dei genitori.

Questa posizione della sinistra svedese non era per niente scontata. Fino a pochi decenni prima la sinistra aveva premuto per una forte scolarizzazione delle classi operaie, senza se e senza ma, premendo per programmi scolastici sempre più pesanti per gli alunni. In quel momento però, si riteneva che la scuola fosse in grado di svolgere la sua missione educatrice nelle ore istituzionalizzate, grazie a didattiche flessibili che modulavano il passo della classe al livello dell’alunno più debole. In quest’ottica i compiti a casa erano visti più come un danno che come un vantaggio perché favorivano l’alunno con più supporto domestico. Questa visione della scuola come luogo unico dell’educazione ha avuto forte presa sulla mentalità svedese e ha portato molte famiglie a credere che l’educazione fosse riservata solo ed esclusivamente alle ore scolastiche e fosse responsabilità esclusiva degli insegnanti.

Il compito a tutti gli effetti

Quindi oggi niente studio a casa nella didattica svedese? In realtà non è proprio così. Gli insegnanti hanno una necessità strutturale di inviare compiti a casa. La scuola svedese scivola da tempo su un crinale discendente, con problemi sempre più estesi di semianalfabetismo o di analfabetismo funzionale. Molti insegnanti rilevano difficoltà a dedicare tempo agli esercizi di ripetizione poiché il tempo a scuola passa per tenere sotto controllo classi sovraffollate e con un numero sempre crescente di alunni con diagnosi che richiedono attenzioni speciali.

In queste condizioni ambientali, la lezione a casa diventa un modo per delegare al tempo domestico quegli esercizi ripetitivi ma necessari che costituiscono la fase di memorizzazione e che creano automatismi, come le tabelline o le date di storia. Quando, raramente, gli insegnanti inviano compiti a casa, li nascondono dietro a nomi che li rendano più piacevoli o accettabili per gli alunni e le lore famiglie, per esempio: ripassino a casa, pre-letturina del testo, giochino digitale a scopo di ripetizione e così via (il diminutivo è una regola per indorare la pillola).

Nei licei gli insegnanti chiamano i compiti con il loro nome ma, d’altronde, gli allievi sono ormai scaltri abbastanza per appellarsi a svariate motivazioni per evitarli, ovvero: la famiglia è numerosa e in casa non hanno la calma per studiare, le loro diagnosi impediscono qualsiasi tentativo di portare a termine quanto assegnato, lo stress scolastico è troppo per studiare il pomeriggio e così via. L’insegnante ha di solito pochi mezzi per controbattere all’alunno che invece ha dalla sua la Convenzione dei Diritti del Bambino, che stabilisce il diritto di tutti allo studio a prescindere dalle condizioni personali e familiari, e il preside della scuola che ne fa da garante.

Dal canto loro i genitori non aiutano gli insegnanti e sebbene ultimamente si cominci a vedere una ritrovata consapevolezza dell’importanza dello studio, il genitore che protesta per l’eccessiva quantità di compiti a casa, specie quelli delle vacanze, è ormai un classico di ogni anno scolastico.

Un nuovo compito

Concludo con una chiosa personale: la situazione è in stallo. Da una parte ci sono la necessità di allenare certe funzioni fondamentali per la cultura di base, la triste realtà che non tutti gli alunni concludono lo svolgimento del compito nel tempo assegnato e magari necessitano di tempo extra a casa. Dall’altra una società che ha semi-ufficialmente dichiarato guerra ai compiti a casa come un obbrobrio sociale. E nel mezzo il calo dei risultati scolastici a livello nazionale.

La soluzione ci sarebbe: trattenere a scuola con presenza obbligatoria i ragazzi che non possono, per vari motivi, studiare a casa e investire soldi in assunzione di personale, magari specializzato, e mezzi, digitali e analogici, per creare doposcuola efficienti e funzionali. Tuttavia si preferisce lo stallo dei “compitini” perché nello stallo tutti galleggiano: alunni che non hanno voglia o possibilità di fare compiti a casa, rettori e insegnanti che sono stufi di discutere con i genitori, genitori che non vogliono “sprecare” tempo a seguire le lezioni a casa dei figli e lo stato che non vuole investire nella scuola. Come si fa a dire ”buone vacanze a tutti”?



Fonti

https://fof.se/artikel/2010/2/laxor-for-livet-eller-i-onodan/ https://omni.se/forskare-domer-ut-svenska-skolan-eleverna-blir-funktionella-analfabeter/a/EQ8QLG https://elevernasriksforbund.se/fragorochsvar/ https://www.skolverket.se/skolutveckling/inspiration-och-stod-i-arbetet/stod-i-arbetet/laxor https://www.vansterpartiet.se/wp-content/uploads/2022/07/utbildningspolitiskt-program-2020.pdf https://www.skolfi.se/forskningssammanstallningar/systematiska-forskningssammanstallningar/laxor-och-likvardiga-forutsattningar-for-larande/ https://www.familjeliv.se/forum/thread/75423976-laxor-under-sommarlov https://mobilestories.se/inga-l%C3%A4xor-i-skolan https://pt.se/nyheter/arjeplog/artikel/skola-aterinfor-hemlaxa/jopyn8qr https://www.aftonbladet.se/nyheter/a/5BXw8b/bottenresultat-for-elever-i-skolan