Tra le colline parmensi, l’incredibile collezione di oggetti della Fondazione Museo Ettore Guatelli è un'occasione per immergersi nella cultura contadina e conoscere la vita quotidiana che si conduceva in passato in campagna.
Un giorno al museo Nel dolce e accogliente paesaggio delle colline parmensi, ilMuseo Ettore Guatelli propone uno straordinario incontro con la cultura contadina nella sua quotidianità e concretezza, grazie al patrimonio costruito dal maestro Ettore Guatelli.
Queste le parole di Ettore Guatelli, che viveva nell’azienda agricola di famiglia: qui ha raccolto con tenacia e amore gli oggetti che venivano usati nella vita di tutti giorni dalle famiglie contadine per i lavori nei campi e in casa, nei momenti di riposo e di festa, durante e dopo la guerra che ha lasciato le sue tracce sul territorio.
Guatelli raccoglieva tutto ciò che veniva abbandonato: oggetti che avevano subito nel tempo modifiche di forme e di utilizzo, perché nella campagne povere degli anni ’40 e ’50 nulla veniva buttato e ogni cosa veniva trasformata e adibita ad altro uso. Alle pareti del museo ci sono per esempio mirabili disegni composti da zappe di forme diverse, determinate dall’usura. Gli oggetti recuperati ed esposti non sono pezzi rari o preziosi, come quelli di molti musei tradizionali della civiltà contadina, ma cose d’uso comune che conservano l’impronta di chi le ha consumate fino all’usura estrema.
Particolarmente amato da Guatelli, lo scarpone è il simbolo del museo. Ciò che lo rende prezioso è la quantità di riparazioni, di risolature parziali, di ricuciture e di toppe che segnano la tomaia e la suola, testimoniando un paziente lavoro di recupero e un diverso approccio al valore delle cose e al loro consumo, segnando così la distanza di questo antico mondo contadino dalla nostra rutilante società dei consumi.
Martelli, pinze, pale, forbici, botti, pestarole sono collocati armoniosamente lungo le pareti di tutte le stanze che il visitatore attraversa guidato dai volontari che raccontano la vita di Ettore e la sua passione, attraverso migliaia di oggetti affascinanti quanto privi di valore economico.
L’allestimento si fonda sulla suggestione visiva creata dagli oggetti disposti scenograficamente alle pareti, un inno alla funzionalità e alla bellezza. Attrezzi da lavoro e d’uso, disposti secondo elaborati motivi geometrici sulle pareti dei vari ambienti, diventano uno straordinario “monumento grafico” alla memoria dei ceti sociali più umili, raccontando la vita contadina che ha fecondato questi campi e il profondo legame dell’uomo con la natura.
Viene in questo modo illustrato anche l’immaginario di chi, profondamente radicato nella propria terra, si apriva a orizzonti sconosciuti e irraggiungibili attraverso “tesori” esotici e misteriosi come una testa di leopardo o una conchiglia, o andando agli spettacoli ambulanti dell’uomo con la scimmia o con l’orso documentati nel museo.
Ettore Guatelli nacque a Collecchio nel 1921 e qui morì nel 2000.Figlio di contadini ma di salute cagionevole, divenne maestro elementare e collezionista di cose e di storie. La sua passione etnografica gli ha permesso di costruire un museo unico e visionario, apprezzato da poeti e intellettuali, fotografi e grafici, artigiani, contadini e rottamai. Bernardo Bertolucci ha avuto a disposizione da Guatelli gli oggetti del suo museo per le due parti del film Novecento, e suo padre Attilio aveva contribuito alla formazione di Ettore.
Perlustrando i magazzini dei raccoglitori dell’Appennino, Guatelli finirà per salvare dalla distruzione più di 60.000 mobili, indumenti, attrezzi e materiali eterogenei provenienti dalle case contadine e dai laboratori degli artigiani. Nell’elenco ci sono anche reperti bellici, come gli elmetti delle SS trasformati in vari recipienti e usati anche per lo svuotamento della fossa biologica (il rudimentale servizio igienico delle case di campagna), in un contrappasso ironico e tragico al tempo stesso.
A metà degli anni Settanta la raccolta Guatelli si ritrovò a partecipare del movimento di riscoperta della cultura materiale che caratterizzò gli anni Settanta e Ottanta. Fino alla morte Ettore continuò a raccogliere e accumulare oggetti e ad allestire stanze e pareti, accogliendo ospiti e visitatori e ottenendo riconoscimenti e pubblicazioni.Dopo la sua morte il Museo di Ozzano Taro diventa una Fondazione col suo nome.
La varietà di oggetti raccolti nel museo è infinita: recipienti di vetro, casse e valigie, scatole di latta e macchine da scrivere; targhe, libri, riviste, tappeti, telai per la lavorazione della canapa; attrezzi per fare il pane, l’olio e il vino, posate, piatti e bicchieri; e ancora indumenti, scarpe, fotografie, giocattoli, orologi. Tutte queste cose affollano ogni parete, pavimento e soffitto, secondo una logica che riflette la mappa mentale dell’inventore di questo mondo delle meraviglie.
Preservando oggetti del mondo contadino pre-industriale e artigianale sul punto di scomparire, Guatelli è riuscito a custodire antichi saperi e modi di vivere, fino a quel momento affidati soltanto alla trasmissione orale.Emozionante è la stanza dedicata ai giochi dei bambini, fatti con materiali di recupero di ogni tipo e consumati dall’uso.
Il museo ha una sezione didattica aperta alle scuole e agli studenti che propone attività pratiche e coinvolgenti, come quella di costruire animali o oggetti assemblando materiali poveri e di recupero.
Il Laboratorio delle cose propone, attraverso percorsi ludico-laboratoriali, un’esperienza sensoriale completa, fatta di osservazione, di conoscenza e di approccio alle migliaia di oggetti esposti nel Museo. Sul sito della Fondazione sono inoltre disponibili per gli insegnanti alcune schede didattiche (scaricabili on-line), e altre risorse utili per approfondire la storia del Museo e i suoi percorsi.
Immagini: © Fondazione Museo Ettore Guatelli