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Competenze, tecnologie digitali e didattica: l'esperienza dell'escape box

Abbiamo intervistato la professoressa Anna Rita Vizzari che ci ha parlato dello sviluppo delle competenze a scuola e dell'utilizzo di metodologie innovative come l'escape box.

Metodologie 
16 dicembre 2019 di: Redazione
copertina

Presentiamo l'intervista alla professoressa Anna Rita Vizzari realizzata in occasione del convegno La qualità dell'inclusione scolastica e sociale organizzato dal Centro Studi Erickson a Rimini dal 15 al 17 novembre. Annarita Vizzari è una docente di Lettere e formatrice; attualmente è impiegata presso l'Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna dove si occupa soprattutto di innovazione digitale e di progetti europei.

In quale modo la scuola può realmente sviluppare le competenze?

Le Indicazioni Nazionali ministeriali forniscono appunto indicazioni sulle competenze nelle diverse aree disciplinari  e in un’ottica trasversale: fin dalla programmazione - che non è mera burocrazia - è fondamentale, per la pianificazione della didattica, seguire suddette indicazioni e piegare i contenuti alle competenze da attivare. Qualcuno pensa ancora ai vecchi programmi nei termini di un elenco di argomenti da trattare, ma non è così.

Ultimamente si parla di “soft skills”, competenze trasversali che è importante che i ragazzi acquisiscano già a scuola, perché questa non deve essere scollata dal mondo circostante. Queste competenze si possono sviluppare attraverso percorsi in cui l’alunno diventa un piccolo professionista mediante lo svolgimento di compiti autentici

Nella mia esperienza da insegnante della scuola secondaria di primo grado ho avuto modo di partecipare ad alcuni progetti europei (iTEC) - coordinati in Italia dall'Indire - di sperimentazione della didattica per scenari, in cui i ragazzi dovevano produrre elaborati legati a un particolare settore e poi sottoporli a reali professionisti di quel settore. Gli studenti e le studentesse erano motivati e stimolati da questo confronto. Abbiamo documentato ogni fase del lavoro; in seguito abbiamo utilizzato questo approccio didattico nella didattica quotidiana. 

Un progetto aveva come prodotto finale un e-book di infografiche sulla tematica dell’uso del digitale in classe, che abbiamo poi sottoposto a un esperto che ci ha restituito il feedback attraverso un video in cui evidenziava punti di forza e di debolezza dei diversi lavori: il punto di debolezza individuato in ciascun lavoro era il mio ritocco finale. A me come docente, la cosa ha fatto piacere perché significa che l’alunno è diventato più competente di me e anche gli studenti hanno accolto questo fatto in modo positivo e con rispetto.

Quali materiali sarebbero utili agli insegnanti per lavorare sulle competenze?

Credo moltissimo nell'intelligenza collettiva e connettiva e ritengo fondamentale che i docenti creino e condividano per i colleghi che a loro volta devono essere rispettosi della paternità/maternità dei materiali che utilizzano. Sostengo la creazione di repository, repertori, strutturati per tematiche e argomento, che siano facilmente consultabili. 

Ci sono due elementi che secondo me sono fondamentali: il reimpiego e l’emulazione creativa.Il reimpiego inteso come nell'arte romanica in cui si prendeva un elemento architettonico preesistente (come un capitello romano) e lo si riutilizzava dandogli un nuovo significato. Così possono fare gli insegnanti nell'adattare materiali che hanno già creato, meglio se digitali.Con l’emulazione creativa si possono utilizzare template (modelli, strutture) anche derivanti da discipline differenti e piegarli per usi diversi; per esempio a me è sempre piaciuta molto la tavola periodica degli elementi, anche se non mi piaceva la chimica. Una mia classe ha realizzato la tavola periodica degli elementi della frase e poi quella delle proposizioni : nel realizzarla, mentre si occupano di aspetti apparentemente grafici (colori, icone, accostamenti), i ragazzi  stanno comunque facendo grammatica; devono capire i diversi elementi grammaticali per poter scegliere per esempio un simbolo che li rappresenti. In questo modo l’obiettivo disciplinare rimane legato alla grammatica, ma si utilizza un apprendimento di tipo creativo e si stimola la riflessione degli studenti.Esistono diversi modelli a maglie larghe che possono essere utilizzati in molte aree disciplinari; l’ottica deve essere quella di far fare ai ragazzi esplicitando e condividendo l’obiettivo di apprendimento.Mi è capitato che alunni e genitori proponessero idee molto interessanti, come il fatto di utilizzare Minecraft come strumento di studio, quando ancora non si conosceva se non in ambito ludico.

Come funziona l'escape box in ambito didattico?

La mia passione è iniziata con gli escape game virtuali  e poi è continuata con le escape room fisiche; mi sono chiesta in quale modo si potesse utilizzare questa metodologia in ambito didattico. Sono partita due anni fa con il primo corso (tenuto per conto dell’USR Sardegna, in cui attualmente lavoro) sull'escape room in ambito didattico, rivolto agli insegnanti. In questo contesto ho  fornito ai corsisti spunti su come come costruire e utilizzare escape room virtuali a scuola. Poi, a casa e a tempo perso, ho iniziato a creare escape box reali utilizzando materiali di recupero: non sapevo ancora che utilizzo ne avrei fatto, finché un collega dell’USR Emilia-Romagna non mi ha chiesto se avessi un’escape room portatile da utilizzare nella formazione degli insegnanti. Curiosamente, ho fatto laboratori in presenza sugli escape box soprattutto in Emilia Romagna, con committenti differenti. Questa metodologia è molto coinvolgente per i giocatori (docenti o studenti che siano) perché capiscono l’importanza dell’apporto di tutti: le attività sono di varia natura quindi richiedono modi di ragionare differenti.Se si vuole utilizzare questo approccio in classe, il primo passo è che gli insegnanti costruiscano un esempio di escape box e lo mostrino ai ragazzi, ma lo sbocco ideale è che i  ragazzi lavorino in gruppo e costruiscano la loro escape box, progettando a monte le diverse attività.Quindi, le mie attività da formatrice su questa tematica  riguardano la costruzione di escape room sia reali sia virtuali.Riguardo al virtuale, ogni insegnante ha utilizzato metodi diversi, da Google moduli a bacheche virtuali: ognuno parte dalle sue conoscenze e collegamenti mentali. Esiste anche qualche webware che propone escape room già pronte che poi possono essere personalizzate e modificate.Il vantaggio di creare escape room analogiche, materiali, è che si possono sfruttare materiali di recupero (vecchi monili, vecchi giocattoli) che non si utilizzano più.

Quale apporto possono realmente dare le nuove tecnologie in ambito didattico?

Non è mai scontato dire che le tecnologie sono uno strumento; talvolta sono anche un ambiente di lavoro, per esempio se si usa un webware per la produzione/realizzazione collaborativa di materiali, con successiva condivisione. È utile la creazione di una classe virtuale in cui collaborare con obiettivi espliciti. 

Ricordo di un progetto (sempre iTEC) in cui ogni gruppo di studenti doveva costruire una “scrivania virtuale” dedicata a uno scrittore: un gruppo doveva lavorare su un autore vivente, Stefano Benni. Gli studenti che si dovevano occupare della costruzione della sua “scrivania virtuale” hanno ottenuto un’intervista (via e-mail) con lui e hanno condiviso sulla classe virtuale la possibilità per i loro compagni di aggiungere domande da porre poi a Benni; il risultato è stato molto carino, trasformato poi in video con animazioni. Con questo genere di lavoro gli studenti hanno acquisito competenze che saranno poi utili anche nella loro (futura) vita lavorativa. 

Personalmente utilizzo molto il digitale (in classe l’avevo naturalizzato, anche grazie a Dirigenti Scolastici e a genitori illuminati) e credo molto nel Piano Nazionale Digitale, di cui mi occupo nel mio lavoro attuale.