I racconti come strumento didattico
Le suggestioni offerte dalla pratica educativa di Alberto Manzi, che in questo articolo abbiamo legato a una strategia didattico-motivazionale che coinvolge l’emotività degli studenti e delle studentesse, portano a perseguire la formazione come un progetto articolato e diffuso attraverso l’individualizzazione e la personalizzazione. L’attenzione prestata alle specificità affettive, culturali e sociali di studenti e studentesse stimola processi personali di elaborazione dei dati acquisiti e di costruzione delle conoscenze, tali da indurli alla significatività dei saperi assimilati.
A partire da quel bisogno e da quell’istinto tutto umano di scambiarsi storie e memorie, attraverso le quali le nostre esperienze si intrecciano alle altre e si arricchiscono di altre, la cultura può rendere abitabile il mondo attraverso il racconto. La parola raccontata consente di vincere resistenze, di aprire varchi, inondando il territorio inviolato della nostra intimità. E se è vero che l’atto della lettura avviene per lo più in solitudine, tale relazione esclusiva produce altre relazioni, perché desideriamo parlare di quel romanzo, confrontarci e arricchire la nostra lettura con le letture degli altri.
Non a caso George Steiner affermava: «Leggere bene significa essere letti da ciò che leggiamo». Non è un’esperienza facile, perché dinanzi ai nostri occhi possono sgretolarsi le nostre certezze e venire svelate le insidie di stereotipi rassicuranti. Il testo letterario si connota invece come modalità per ricostruire un sentire collettivo e dare forma e voce alle domande di senso soggettive.
Calvino nelle Lezioni americane sosteneva che «la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo». Se la tendenza alla semplificazione delle formule comunicative e alla riduzione del reale ha privato il linguaggio della sua ambivalenza, il terreno dell’arte e della letteratura, nelle sue molteplici espressioni, ci riconsegna allora a uno spazio in cui le forme riconoscibili di un modello culturale si connettono all’alterità magmatica.
Leggere, valutare, raccontare
Una sperimentazione svolta nel Liceo statale Q.O. Flacco di Portici (Napoli) e basata su questa impalcatura teorica complessa e sfaccettata, nella consegna agli studenti ha goduto di un immediato consenso. In accordo con una casa editrice, che bandiva un concorso letterario per racconti brevi, una classe del secondo biennio si è qualificata come giuria popolare. Ragazzi e ragazze, divisi in gruppi da tre, dovevano leggere, scambiarsi opinioni e pareri sulla qualità letteraria del racconto sottoposto al loro giudizio e infine emettere una “sentenza”, ossia una valutazione che consentiva al racconto di passare a una successiva selezione oppure fermarsi a quello step.
A ogni gruppo veniva consegnato un racconto, che tutti leggevano individualmente, dopodiché c’era la fase della consultazione e della lettura condivisa. A studenti e studentesse era stata consegnata una tabella valutativa del racconto che teneva conto di tre indicatori: efficacia linguistica, pervasività della trama, sviluppo coerente dei personaggi. Successivamente ogni capogruppo aveva il compito di presentare il proprio racconto anche agli altri gruppi, per condividere suggestioni, emozioni e giudizi.
Una parte della classe era stata esclusa dal “lavoro” di giuria, perché era prevista un’alternanza: dopo la selezione svolta dai primi gruppi si sarebbero aggiunti gli altri gruppi. In realtà, studenti e studentesse “a riposo” svolgevano inconsapevolmente la funzione di gruppo di controllo, per monitorare l’efficacia della strategia didattica dello scambiarsi storie.
Concluso il lavoro di giurati, studenti e studentesse sono stati invitati a compilare gruppi di test che avrebbe verificato se le loro competenze cognitive e relazionali erano migliorate rispetto alla situazione di partenza. A prescindere dai risultati dei test, che dimostrarono la qualità della sperimentazione, i voti degli studenti e delle studentesse al secondo quadrimestre subirono un incremento in molte materie, e allo stesso tempo anche le relazioni nella classe risultarono migliorate.
Conclusioni
Colmare le distanze per raggiungere e includere tutti: potrebbe essere reso così, sinteticamente, lo scopo dell’azione educativa di Alberto Manzi. Le distanze che egli ha colmato sono state contemporaneamente sia fisiche che morali, culturali e spirituali, perché ha operato per favorire l’istruzione e la valorizzazione di tutti coloro che vivevano ai margini della cultura alfabetica, coniugando un approccio teorico moderno e pratiche didattiche che di volta in volta si piegavano e adattavano ai contesti più diversi.
La speranza è che la nostra sperimentazione, abbracciando lo spirito di un’azione educativa rispettosa della dimensione emozionale e sempre attenta al tessuto relazionale, possa offrire uno spunto significativo per le scuole.
Bibliografia
- I. Calvino, Molteplicità, in Lezioni americane, Garzanti, Milano, 1988
- G. Steiner, Una lettura ben fatta, in Nessuna passione spenta. Saggi 1978 – 1996, Garzanti, Milano, 1997
- M. Trevi, Metafore del simbolo, Raffaello Cortina, Milano, 1986
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