Attraverso il punto di vista del protagonista, un bambino tetraplegico che osserva con sguardo ironico e acuto quello che lo circonda, il libro di Michele Cecchini "E questo e niente" ci racconta di adulti sempre scontenti e misteriosi, di diversità ed empatia, e dei coraggiosi "medici alla rovescia" degli anni Sessanta.
Inclusione  Grandi insegnanti A volte i punti di vista più “anomali” sono quelli che illuminano la realtà di nuovi significati e che aiutano ragazzi e adulti a riflettereda un’altra prospettiva su alcuni temi fondamentali come la diversità, la malattia, l’amore, la morte. È quello che fa la voce narrante di E questo è niente (Bollati Boringhieri), l’ultimo libro di Michele Cecchini: la storia è infatti raccontata dal protagonista Giulio, un bambino tetraplegico che vive con la famiglia in un paesino della campagna fiorentina degli anni Sessanta. Costretto all'immobilità, Giulio osserva i suoi familiari e rielabora a modo suo quello che riesce a intercettare, come emerge anche dai brevi estratti della storia che è possibile ascoltare nella playlist dedicata sul canale Spreaker di Dire, fare, insegnare.
«Nel dare voce al protagonista, ho cercato di tenermi alla larga dal tono pietistico e dalla retorica dei “bambini speciali” e di ricorrere invece alla leggerezza e all'ironia, grazie alle numerose opportunità che lo sguardo di Giulio mi ha offerto, e movimentando la trama con un piccolo giallo che deve risolvere nel suo paese» ci ha raccontato Michele Cecchini. «Emerge così un quadro strampalato talvolta crudo del mondo dei cosiddetti “normali”, che lui considera “gli esseri più misteriosi e scontenti di tutti”, costantemente prigionieri delle loro frustrazioni, inquietudini e insoddisfazioni.»
E questo è niente racconta anche dal punto di vista storico la condizione particolare in cui vivevano allora i cosiddetti “infelici”, i bambini affetti da paralisi cerebrale infantile, spesso provocata dall’uso del forcipe durante il parto. Adriano Milani, neuropsichiatra e fratello di don Lorenzo, fu tra i primi in Italia a battersi perché la sanità si prendesse cura di questi bambini, riconoscendo loro la dignità di esseri umani: dopo lunghe battaglie, arrivò a dirigere a Firenze un istituto in cui confluivano bambini i cerebrolesi, che lì potevano svolgere non solo la fisioterapia ma anche altre attività.
Le famiglie si vergognavano infatti dei loro bambini “infelici”, che venivanotenuti nascosti in una stanza o addirittura nelle soffitte. Per questo alcuni dottori dell’équipe di Adriano Milani giravano per la Toscana chiedendo a farmacisti, parroci e medici di famiglia se fossero a conoscenza di casi di bambini tetraplegici nei paraggi. «Nel mio libro il protagonista chiama questi medici “dottori alla rovescia”perché in maniera inusuale sono loro ad andare a cercare i pazienti, per toglierli dal cono d'ombra in cui sono relegati» spiega l’autore. «Anche Giulio un certo punto viene raggiunto da uno di questi medici e inizia a frequentare l'istituto di Adriano Milani a Firenze».
Anche il padre di Michele Cecchini, Sergio è stato un “dottore alla rovescia” allievo di Adriano Milani: lavorò come neuropsichiatra presso l’istituto di Firenze e poi aprì a Lucca, nel 1966, un suo centro per bambini affetti da paralisi cerebrale infantile. «Per me questo romanzo ha un valore particolare, dal momento che per scriverlo ho attinto dai racconti di mio padre. Ho avvertito l’urgenza di recuperare questo pezzo di storia del nostro Paese e di raccontare di quei medici che ebbero il coraggio di intraprendere un’attività pionieristica che ha portato finalmente a riconoscere la dignità di quei bambini. Il fatto che tra questi medici ci sia stato mio padre mi rende particolarmente orgoglioso, e questo libro è il modo che ho di ringraziarlo.»