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Area Secondaria II grado

“Il tempo vola”: in rapporto vivo con il passato

La seconda intervista sul percorso di orientamento “Il tempo vola, le competenze restano”, promosso da Romanae Disputationes e Lavoropiù.

Tempo di lettura: 5 minuti

gabriele laffranchiGabriele Laffranchi
orologio

Il percorso curricolare di orientamento “Il tempo vola, le competenze restano” promosso da Romanae Disputationes e Lavoropiù, è formato da tre webinar dedicati alle tre dimensioni classiche del tempo – passato, presente e futuro – in cui a un’apertura affidata alle domande della filosofia segue una riflessione formativa rispetto al mondo del lavoro.

Sul tema del passato dialoghiamo oggi con Riccardo Fanciullacci, professore associato di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Bergamo, e Filippo Darchini, Talent Acquisition Specialist di Lavoropiù.

Prof. Fanciullacci, il passato appare spesso come una zavorra o un peso che ci schiaccia e ci determina. Come uscire da questa condanna e potersi relazionare con il proprio passato?

La questione del rapporto con il passato è decisiva per l’esistenza umana. Spesso ci si rappresenta il passato come fosse qualcosa di fisso e immodificabile. Non diciamo forse che “quel che è fatto è fatto”? Anche Aristotele, parlando della formazione del carattere, sosteneva che questo deriva dalle azioni che facciamo da piccoli, ma che, una volta che si è costituito, determina il senso delle azioni che compiamo da adulti. Questa idea secondo cui dipendiamo da quel che abbiamo fatto in passato, la ritroviamo anche nell’esperienza quotidiana con il digitale: i consigli e le pubblicità con cui i motori di ricerca tentano di sedurci, sono modellate sul profilo che quei motori hanno costruito vagliando i nostri comportamenti precedenti. Ma noi non siamo i nostri profili e non siamo destinati a confermare le preferenze che abbiamo espresso in passato!

Per cominciare a guardare diversamente al nostro passato, possiamo trarre ispirazione dalle Confessioni di Agostino d’Ippona. Narrando la sua conversione al cristianesimo, Agostino ci racconta anche come sia giunto a interpretare diversamente il suo stesso passato: in quelle sue azioni in cui prima vedeva una ricerca più o meno fallita del piacere, ora vede un’aspirazione, disorientata, all’amore. “Credevo di cercare il piacere – dice – ma stavo cercando l’amore, solo che lo cercavo nel modo sbagliato”. Qui, dunque, il passato diventa oggetto di una riappropriazione nel presente. Agostino ci insegna, insomma, che se il passato resta immodificabile dal punto di vista materiale, invece, il suo senso è ciò che può sempre venire rinegoziato.

Dunque il passato è in dialogo con il presente e il futuro, in un gioco di continua ridefinizione di sé tramite i propri desideri e le scelte che vengono operate?

Alla possibilità di reinterpretare il passato e dunque di prendere una nuova posizione rispetto a esso, non va sovrapposta l’idea che allora il passato non ci condizioni per nulla e sia a nostra completa disposizione. Questa idea, che alcuni vorrebbero ricavare da Sartre, dimostrando solo di averlo letto superficialmente, è del tutto sbagliata. Proviamo piuttosto a pensare al gioco, che abbiamo fatto da bambini, in cui bisogna unire dei puntini numerati: le esperienze importanti che costellano il nostro passato sono come dei puntini che sta a noi unire perché non diventino solo degli accadimenti irrelati e privi di senso. Certo, però, nella vita non ci sono i numeretti da seguire. Spetta a noi dire quali tra le esperienze per cui siamo passati sono importanti per dare profondità al nostro presente e slancio al nostro futuro.

Insomma, la rinegoziazione del senso del nostro passato avviene insieme alla definizione del desiderio con cui ci proiettiamo nel futuro. Alla luce del nostro desiderio, alcuni aspetti del passato li lasciamo cadere come secondari, mentre altri li riprendiamo inserendoli in una prospettiva più elevata. D’altro canto, quel desiderio può divenire un progetto credibile solo se lo determiniamo anche alla luce del passato, altrimenti, diventa un ghiribizzo soggettivo o una mera fantasia.

orizzonte futuro
Foto di Christian Lue su Unsplash

Filippo Darchini, il rapporto con il proprio passato è sempre stato fondamentale in fase di candidatura per una posizione lavorativa, eppure i nuovi scenari del mercato del lavoro stanno cambiando radicalmente il rapporto con il proprio passato. In che termini è bene leggere le esperienze vissute?

Per quanto in effetti il cambiamento del mercato del lavoro si possa definire radicale, resta di primaria importanza la valorizzazione del passato. L’obiettivo continua ad essere la ricerca del valore e non possiamo parlare di valore senza voltarci indietro.

Detto questo, non considerare cosa pretende oggi il mercato del lavoro sarebbe fatale; certi strumenti come la flessibilità, il lavoro agile, il welfare, sono protagonisti assoluti di questo cambiamento. Tutti gli attori coinvolti nei diversi contesti lavorativi sono chiamati a adattarsi e allinearsi, godendo dei benefici offerti per poter puntare a un miglioramento continuo in termini di serenità e produttività. Le esperienze vissute, come insegna la storia, ci donano una prospettiva tangibile e dinamica per evolvere ovunque sia possibile farlo.

Il curriculum vitae è strumento cardinale nella costruzione dell’identità di sé e nel comunicarsi. Perché approcciarsi al curriculum vitae anche in età scolare può essere un’esperienza formativa?

Dobbiamo intendere il curriculum vitae come uno specchio prima che come una analitica ricostruzione di esperienze e competenze. Nel curriculum vediamo chi siamo e chi potremmo diventare. Dal curriculum capiamo quali sono i tratti sui quali poter contare per tratteggiare quel percorso che evidentemente ancora non può essere tracciato.

Le esperienze extra professionali ed extra formative dicono tanto di noi, anche quando non lo sospettiamo. Per esempio essere parte di una compagnia teatrale o di un gruppo musicale può suggerire una buona predisposizione al lavoro in gruppo, un’attività agonistica individuale come il tennis può denotare una buona capacità di gestione dello stress in autonomia. Si tratta di competenze trasversali (le cosiddette soft skills) che magari non consideriamo ma che possono dire tanto di noi e delle nostre potenzialità fin dagli anni della scuola.

Leggi anche la prima intervista dedicata a “Il tempo vola, le competenze restano”.

3 Gennaio 2024

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