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Gli esami a scuola sono utili? Il dibattito in Kenya

La riforma del sistema scolastico in Kenya ha portato a interrogarsi su vantaggi e svantaggi degli esami di fine ciclo. Beatrice M’mboga Akala spiega perché rimangono utili.

Scuole nel mondo 
19 marzo di: Redazione
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Recentemente il Kenya ha affrontato un dibattito sull’utilità degli esami previsti dal Ministero dell’educazione lungo il percorso scolastico di studenti e studentesse. Le classi della primaria sono chiamate a ottenere voti alti al Kenya Certificate of Primary Education (KCPE) per poter accedere alle migliori scuole secondarie, e alla secondaria molte ore sono dedicate alla preparazione agli esami che portano all’ammissione alle università. Questo sistema ha generato una pressione crescente sui ragazzi, che spesso non ricevono supporto nel gestire le aspettative derivate dagli esami e vivono l’anno scolastico orientati solo a questo obiettivo.

Nel 2017 è stato lanciato un nuovo curriculum, un sistema che rimpiazza il sistema 8-4-4 con quello 2-6-3-3-3 (con due anni di Pre-Primary e la secondaria divisa in Junior e Senior Secondary), più focalizzato sulle competenze e sul tempo che bambini e ragazzi possono prendersi per costruirle, senza pensare agli esami, e per vivere la propria infanzia e adolescenza.

L’idea è quella di accompagnare la nuova generazione di kenyoti esponendola a esperienze formative diverse e innovative. Per la prima volta, quest’anno scolastico ha visto attivata la Junior Secondary per gli studenti che hanno preso parte al rinnovamento del sistema scolastico dal suo inizio, ma tanti sono ancora i dubbi e i problemi per adattare modalità e qualità dell’insegnamento a questo nuovo segmento del percorso scolastico.

Contestualmente al nuovo sistema, è stata presentata anche la proposta di eliminare gli esami di fine ciclo. C’è chi però, come la ricercatrice Beatrice M’mboga Akala, indica altrove i problemi della scuola in Kenya e ritiene che gli esami siano utili, in primo luogo proprio per portare alla luce la diseguaglianza tra le possibilità offerte ai ragazzi sia in termini di occasioni formative, spesso lasciate alle risorse delle singole famiglie, sia in relazione alle prospettive professionali alternative che possono andare oltre a quanto predetto dai voti.

In secondo luogo, l’esame aiuta a mettere il discente al centro della didattica, a dare voce ai ragazzi e permettere loro di mostrare dove hanno bisogno di più aiuto. Ma emergono grazie agli esami anche quali sono le competenze su cui un Paese sta investendo e dove invece si dimostra carente, permettendo di correggere la rotta e legare così l’educazione anche ad aspetti di sviluppo sociale, economico e politico.

Infine, gli esami servono a riconoscere i profili più adatti per certe professioni e in ogni caso a certificare quanto imparato dagli studenti grazie al loro percorso scolastico, a mostrare prima di tutto a se stessi i propri punti di forza e i punti deboli. Certo occorre ripensare il contesto in cui sono somministrati gli esami, preparando le classi anche a cogliere opportunità future che non riguardano direttamente i propri risultati scolastici. Oppure, suggerisce M’mboga Akala, anche abolendo completamente l’uso di classificare gli studenti che fanno domanda a una scuola o a un’università solamente in base ai voti ottenuti.



Fonte: Should Kenya abolish all school exams?, theconversation.com