Il docente di filosofia Marco Ferrari, nell'introduzione del volume "Educare a pensare. Teoria e pratica della disputa regolamentata", spiega perchè la disputa è un modello per sviluppare le competenze trasversali.
Metodologie La teoria dell’argomentazione e la pratica della disputa rappresentano tanto un modello didattico e formativo attivo, quanto un vero e proprio metodo trasversale a tutte le discipline per lo sviluppo delle competenze argomentative e di lavoro in gruppo, per la composizione di conflitti e per l’affronto di problemi complessi. Infatti, disputando in team secondo un protocollo – ovvero secondo fasi, tempi e obiettivi precisi e specifici da rispettare – è possibile accrescere molteplici competenze chiave e di cittadinanza: imparare a imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare informazioni. In particolar modo, si favoriscono l’attitudine al pensiero divergente, l’abilità nell’analisi e nella sintesi di un problema complesso, nella costruzione di strategie di argomentazione, nella scrittura e nelle competenze dialettiche-oratorie e, infine, nella creatività e nell’efficacia nella comunicazione.
La razionalità occidentale si è da sempre confrontata con il problema di distinguere la verità dalle apparenze, per riconoscere e perseguire ciò che è ragionevole, giusto, corretto e valido rispetto a ciò che è irrazionale, ingiusto, scorretto e fallace. Questa sfida è accresciuta dalla rivoluzione tecnologica in atto e dalla diffusione di nuovi strumenti di comunicazione globale, affinché la società in cui viviamo non perda la sua connotazione democratica, libera e multiculturale. Nella nostra epoca, permeata dall’idea dell’impossibilità e della falsità di ogni presunta verità, la pratica della disputa regolamentata e argomentata rappresenta la strada per un riavvicinamento, attraverso la ragione e i suoi strumenti, alla possibilità della ricerca della verità.
Ragionando insieme, con rispetto per l’altro, è possibile scoprire che ogni nostra tesi è vera non perché è la nostra opinione o perché è affermata dai più o da chi è più autorevole nella società, ma solo nella misura in cui è sostenuta da buone e solide ragioni. La conclusione di un ragionamento è accettabile se verificheremo la correttezza delle premesse che lo sostengono e la validità delle inferenze che sono state usate per concludere.
Ci sono due radici della cultura contemporanea che vanno identificate per comprendere l’importanza di un rinnovato impegno a pensare in modo corretto: la prima è rappresentata dal relativismo, che ha decostruito la capacità di riconoscere la complessità dei fatti e la natura razionale del soggetto, riducendo la conoscenza a una ridda di opinioni priva di vincolante referenza alla realtà; la seconda è un razionalismo matematizzante che ha spazzato via il gusto per il ragionamento discorsivo, fatto di tentativi ed errori, nella cultura e nel discorso pubblico, proprio di autentiche società aperte e non totalitarie. Una buona formazione sui fondamenti dell’argomentazione e una virtuosa pratica della disputa in ambiti educativi e formativi, quindi, può fungere da antidoto per modalità di ragionare e comunicare ammalate di dogmatismo e ideologia.
Nella disputa, inoltre, è richiesta una virtù fondamentale: l’atteggiamento di apertura e di tensione alla verità delle cose. La disputa regolamentata, infatti, è un processo continuo di verifica e di collaudo delle proprie ipotesi, nell’ottica di un avvicinamento graduale e progressivo a come stanno le cose. Essa, ad esempio, è una palestra dove allenarsi per cercare soluzioni ai tanti obiettivi posti dall’Agenda 2030 dell’ONU, poiché sviluppa un indotto di competenze cognitive e non cognitive, relazionali e motivazionali, utili tanto nel lavoro di gruppo quanto nella vita.
La disputa aiuta a superare la riduzione dell’essere umano a soggetto di prestazione, facendo sperimentare in senso virtuoso “competizione” e “agonismo”. La prima, intesa nel senso etimologico del cum-petere, viene vissuta come l’andare insieme verso un obiettivo comune, confrontandosi e aiutandosi a vicenda. Il secondo, invece, inteso come il coraggio dell’esporsi in battaglia, è vissuto come disponibilità a un intenso sforzo personale, come spirito determinato a confrontarsi con gli avversari senza sottrarsi alla fatica. La disputa esige anche tanta creatività, attraverso la valorizzazione e l’implementazione di pensiero sintattico, strutturato e gerarchico, e di pensiero paratattico, più libero e coordinato. Così, mentre il pensiero sintattico si concentra sulla struttura logica e gerarchica delle idee, il pensiero paratattico enfatizza una disposizione più libera e coordinata delle idee, favorendo un approccio più intuitivo e meno rigidamente strutturato alla comprensione e all’espressione del pensiero.
La disputa riprende infatti la disputatio praticata nelle università medievali come metodologia che accorda il lavoro di maestri e allievi nel gusto della ricerca libera e razionale della verità delle cose. Essa permette di realizzare in concreto ciò che in tanti desiderano, ovvero di fare della scuola e della formazione un momento di autentica cura della persona in quanto vivente intelligente e libero.
Tratto dall'Introduzione di Educare a pensare. Teoria e pratica della disputa regolamentata, a cura di Marco Ferrari e Massimo Nardi, Carocci, 2025