Quella della resilienza è una qualità che gli insegnanti di ogni ordine e grado sono necessariamente chiamati a esercitare, se vogliono che la loro esperienza nella scuola sia proficua per gli alunni e – allo stesso tempo – non usurante per loro stessi.
Esperienze di insegnamento La resilienza è l'attitudine che ci consente di affrontare le difficoltà senza soccombere e senza perdere la motivazione, l'entusiasmo o almeno la fiducia che il nostro impegno produrrà un miglioramento. È la dote di chi si piega, se necessario, ma non si spezza, facendo appello a tutta la flessibilità e creatività necessarie nelle avversità.
In quest'ottica sono stati attivati, negli ultimi anni, alcuni “corsi di formazione alla resilienza” per educatori, volti a sensibilizzare la classe docente sull'importanza di questa dote misconosciuta e a istruirla sulle strategie ritenute più efficaci per metterla in pratica.
Ma qual è il modo migliore per coltivare qualcosa che, più che una tecnica, è una dote interiore? Questo è l'esperimento che, nella mia scuola, abbiamo tentato durante l'anno appena concluso.
Durante questo anno scolastico, nel quale mi sono per la prima volta cimentata come funzione strumentale per il supporto psico-pedagogico agli alunni in una Scuola secondaria di primo grado, mi sono più volte chiesta quale fosse la via più sensata per approcciare la problematica complessa e delicatissima del disagio dei ragazzi. Di certo ascoltarli, essere per loro un riferimento contenitivo e non giudicante, agevolare – dove possibile – il confronto tra loro e i compagni e favorire la comunicazione con i genitori, sempre più spesso assenti e disorientati.
Ho osservato, nei loro racconti, quanta sofferenza si origina all’interno dei rapporti umani, quando sono gestiti con superficialità, quanti fraintendimenti nascono e quanto tempo e energia si sprecano per la diffusa incapacità di ascoltare e comunicare con onestà.
Nel portare avanti questo lavoro allo sportello d'ascolto, ho avvertito però uno scollamento tra quello che cercavo di fare a tu per tu con i ragazzi e il clima che si respirava nella scuola tra adulti: come se non ci fosse coerenza tra i messaggi che mandavo agli studenti (messaggi orientati all'ascolto di sé e alla cura delle relazioni) e quello che noi insegnanti ci trovavamo a fare quando ci confrontavamo e pianificavamo il nostro lavoro “per gli alunni”.
Mi sono resa quindi conto che noi insegnanti, nelle chiacchiere di corridoio, nell'aula insegnanti – ma anche durante le nostre riunioni ufficiali – applichiamo molte delle approssimazioni e delle dinamiche ingenue e crudeli riconoscibili nei racconti dei ragazzi.Anche noi siamo troppo spesso gravati dalle frustrazioni, dalla paura di fallire o dall'invidia, nei nostri rapporti con i colleghi, con i genitori o con i ragazzi stessi i quali, per la loro emotività o spavalderia, possono facilmente attivare in un adulto turbamenti e risonanze inconsapevoli.
Come possono i ragazzi coltivare il loro “benessere” in una realtà in cui gli adulti sono i primi a non stare bene?
Da queste considerazioni è nata l'idea, subito condivisa con la psicologa della scuola, di creare dei gruppi volontari di “intervisione” per gli insegnanti che sentissero l'esigenza di confrontarsi e condividere in modo autentico i racconti delle proprie esperienze nell'esercizio di questa professione: difficoltà, dubbi, paure ma anche successi, strategie e piccole e grandi soddisfazioni.
Seduti in cerchio, dopo aver stabilito come unica regola il rispetto della privacy di quello che veniva condiviso con il gruppo, abbiamo quindi sperimentato una clima di autenticità, calore e solidarietà: a me è sembrato di lavorare davvero “per i ragazzi” oltre che per me e di coltivare, senza formatori né corsi, la nostra intima resilienza.