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Il rientro a scuola un mare in tempesta fra emozioni e apprendimento

Emilia Andriella, EQ Social Impact Manager di Six Seconds Italia illustra alcune competenze emotive da sfruttare per il rientro in classe.

Metodologie 
29 settembre di: Emilia Andriella
copertina

Il clima emotivo al rientro a scuola

Leonardo era un bambino di 7 anni che, per tutto il mese di settembre, arrivava a scuola con le infradito. «Non c’è verso di fargli mettere le scarpe! Siamo mortificati!» - dicevano i genitori con un misto di vergogna e rassegnazione. E questa storia è proseguita fino in quinta elementare. Leonardo amava il mare e tra giugno e agosto girava sempre e solo in costumino e infradito. Ma come non comprenderlo! A settembre siamo tutti un po’ Leonardo: tutti vorremmo una scrivania vista mare, un lavoro part-time o un periodo di “inserimento”.

Ma perché è così complesso il rientro in classe? E, soprattutto, come possiamo aiutare ragazzi e ragazze ad affrontare questo momento con mentalità aperta e adattabile?

Ogni nuovo anno porta con sé delle incognite, che vanno dal contesto in cui ci si trova, ai compagni e le compagne di classe, agli insegnanti. E non per tutti è semplice questo “cambiamento”. Ecco. Il rientro a scuola è complesso perché rappresenta proprio un cambiamento a tutti gli effetti. Ma che cos’è poi un cambiamento? Si tratta di uscire dagli schemi tradizionali. «Allora anche le vacanze sono un cambiamento!» si potrebbe obiettare! Eh sì, lo sono. Ma sono un cambiamento che scegliamo noi perché ci piace: anzi, molti di noi non vedono l’ora che arrivi! L’inizio delle lezioni di settembre è un cambiamento che alunne e alunni non scelgono, quindi per accoglierlo devono iniziare un percorso di adattamento.

Perciò, in questo adattamento dobbiamo rispettare i tempi di tutte e tutti. Eravamo, come Leonardo, nella nostra zona di comfort e qualcuno ci “ha costretti” a lasciare le nostre ciabatte comode, per infilarci scarpe nuove e scomode che non hanno ancora preso la forma del nostro piede. Così, per proteggerci, proviamo a resistere al cambiamento e inneschiamo una difesa che Six Seconds chiama ciclo di resistenza.

Il ciclo di resistenza

Il ciclo di resistenza è la nostra capacità di difenderci davanti all’incertezza dell’ignoto che può generare: paura, frustrazione e giudizio. Sappiamo ormai da tempo che le emozioni sono nostre alleate e ci portano un messaggio. La paura ci chiede che cos’è a rischio che per noi è importante? Il rapporto con compagni e compagne? Il giudizio di insegnanti e della famiglia? La frustrazione ci dice che qualcosa sta ostacolando la realizzazione dei nostri bisogni (l’inizio della scuola, i genitori e i docenti che non danno il giusto tempo per rimetterci al passo). Il processo del giudizio, infine, con i suoi pensieri critici su noi e/o sull’altro ha la funzione di allontanare da noi “la novità” e barricarci dietro un muro che frena il movimento.

Questo ciclo di resistenza è alla base del clima emotivo che troviamo in classe nelle prime settimane di scuola: insicurezza, ansia da prestazione, timore del giudizio, rabbia, tristezza, noia, disinteresse. Di fronte a questo panorama complesso, quali risorse hanno gli educatori per stimolare ragazzi e ragazze ad accogliere il cambiamento e trasformare la paura in coraggio?

È bene ricordare che esiste un legame molto stretto tra emozioni e apprendimento: le emozioni spiacevoli chiudono i centri dell’apprendimento, le emozioni piacevoli li aprono! Quindi la prima cosa da fare è vagliare il clima emotivo della classe e trasformarsi in un marinaio in grado di traghettare alunni e alunne verso emozioni piacevoli.

Com’è possibile fare tutto questo?

Ci vengono in soccorso tre competenze delle tre aree del modello di allenamento pratico dell’Intelligenza Emotiva di Six Seconds:

  • comprendere le emozioni dell’area Self Awarness;
  • navigare le emozioni dell’area Self Management;
  • far crescere l’empatia della Self Direction.

Allenare la competenza nel comprendere le emozioni è il primo e più bel regalo che si possa fare a ragazzi e ragazze di ogni età. Dobbiamo, quindi, stimolarli a “dare un nome” alle loro emozioni. «Che cosa provi? Che cosa provano gli altri?» Sono queste le domande chiave della competenza.

Se ci si allena a comprendere le emozioni, come prima conseguenza tutti saranno un po’ più consapevoli e responsabili del clima della classe e protagonisti, grazie alla nostra consapevolezza, rispetto all’anno che sta per iniziare. La seconda cosa che accadrà, invece, ce la insegnano le neuroscienze. Il prof. Siegel ha spiegato che il solo dare un nome all’emozione ha un impatto sul cervello, tale per cui l’emozione abbassa la sua intensità.

Il secondo regalo che si può fare a studenti e studentesse, allenando la competenza navigare le emozioni, è invitarli a “sostare” nella loro emozione. Serve chiedersi: come si possono esprimere i sentimenti che si provano in modo produttivo? Troppo spesso ci si spaventa per le emozioni spiacevoli o si teme di non riuscire a gestire alcuni stati emotivi dei propri alunni e alunne. Così si finisce per usare strategie di evitamento attraverso la distrazione, la “normalizzazione” o il silenzio. Invece la strategia del rendere un’emozione spiacevole qualcosa di utile è un bel modo per dare loro la possibilità di provarla, senza il desiderio di evitarla. Lasciare che alunni e alunne si immergano coi loro tempi nelle loro emozioni senza troppa paura, permette loro di trarre energia da quelle emozioni e di trasformarle in qualcosa che li possa incoraggiare nel cambiamento in corso.

Ciò che aiuta gli educatori e le educatrici ad attuare questo processo di allenamento è la competenza nel far crescere l’empatia che permette di connettersi ad alunni e alunne tramite l’ascolto attivo. Un ascolto attraverso il quale ci si mostra come una presenza empatica: un testimone in grado di ascoltare senza giudicare, senza voler risolvere a tutti i costi, ma dando la possibilità, all’altro, di non sentirsi solo mentre cerca la propria soluzione. “Come rispondere alle emozioni degli altri?" è la domanda che dobbiamo porci. La presenza empatica mostra all’altro che siamo in grado di sostenere il suo dolore e il suo disagio tanto da sostarvi accanto, senza scappare, per il tempo che ci vorrà.

Con queste tre armi in tasca non ci saranno infradito che tengano.