Dire, fare, insegnare
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Appunti sulla maturità: problemi e prospettive

Luca Cangemi, insegnante e saggista, propone una riflessione sul valore dell'esame di maturità oggi e sulla necessità di preservarlo.

Problematiche scolastiche 
20 luglio 2023 di: Luca Cangemi
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Tra tracce criticate, polemiche sull’uso del linguaggio inclusivo e prove differenziate su base regionale, l’esame di maturità è diventato quest’anno il centro di un dibattito molto acceso che ha messo in luce non solo diversi problemi legati alla situazione di emergenza degli ultimi anni, ma anche alcuni punti critici di lungo periodo.

Alcuni di questi problemi, per esempio la costante diminuzione del numero di studenti presenti alle prove, non rientrano in nessun modo nel raggio d’azione del nostro sistema scolastico, mentre altri, tra cui gli effetti negativi sull’apprendimento legati allo stress della pandemia o alla povertà, devono essere affrontati al più presto per limitarne la portata.

Per trovare risposte a queste problemi fondamentali, rispetto ai quali l’esame di maturità ha svolto un ruolo di vero e proprio catalizzatore, Dire, fare, insegnare si è rivolta agli insegnanti. I docenti vivono quotidianamente la realtà scolastica e hanno con i ragazzi e con le ragazze un rapporto più diretto di chiunque altro.

In questo articolo, Luca Cangemi, insegnante di scuola secondaria di secondo grado, ci ha offerto il suo punto di vista, proponendo una riflessione sul significato attuale della maturità, sull’opportunità di riformarla e su cosa ci dice di noi e della nostra scuola.

Una riflessione sulla maturità

Gli esami di maturità sono finiti. C’è quiete dopo la tempesta di numeri (griglie, bonus, crediti, voti...) nel cui occhio hanno navigato – con nervi non sempre saldi – le commissioni. Si sono placate anche le polemiche mediatiche sui titoli della prima prova . Della scuola e dei suoi problemi se ne parlerà sui giornali il prossimo giugno. È arrivato il momento di ragionare sugli esami di maturità. A partire, inevitabilmente, dal grido che molti docenti si rivolgono l’un l’altro: “Basta! Meglio abolirli!”. La questione si pone e, se lo scenario non muta, si porrà sempre con più forza.Innanzitutto, bisogna dire che l’abolizione degli esami di maturità è assai difficile dal punto di vista istituzionale e non è nemmeno auspicabile; per una ragione fondamentale: gli esami di stato a conclusione del percorso di studi sono lo scudo più efficace che difende il valore legale del titolo di studio e un sistema nazionale d’istruzione fondamentalmente pubblico.

Di questo scudo vi è un particolare bisogno in un tempo in cui l’unitarietà del sistema scolastico e l’uguale valenza dei titoli di studio sono sfidate non solo da profondi processi socio-economici, ma anche da scelte generali in materia di assetti istituzionali e da puntuali indirizzi di politica scolastica.

L’esame di maturità va difeso, ma per difenderlo è necessaria un’operazione di verità sulla sua attuale configurazione. Una configurazione che è il frutto di un progressivo svuotamento della funzione di accertamento delle conoscenze disciplinari e dell’affermazione di altri criteri, variamente determinati, intorno al paradigma delle competenze.

Tutto ciò, già visibile nelle prove scritte, trova la sua completa manifestazione nel colloquio orale, atto conclusivo e, in quanto tale, particolarmente emblematico dell’esame. Un colloquio di fatto senza discipline. La verifica della “preparazione disciplinare” era esclusa in quanto, evidentemente, patologica e inutile fonte d’ansia.

A ciò si aggiunga lo spazio ormai consacrato alla relazione sull’esperienza dei PCTO. Come tutti sanno, la relazione sul PCTO è il momento in cui la tensione culturale ed emotiva dell’esame precipita, ma essa è divenuta parte ineliminabile del rito della maturità. Il PCTO, inoltre, corona un’idea di esame di maturità (che diventa poi un’idea complessiva di scuola, orientando la didattica nel triennio) tutta basata sulla formazione di un “capitale umano” funzionale alle esigenze delle imprese.

È questo modello e le sue finalità che vanno rimesse in discussione se si vuole salvare, innanzitutto, la serietà degli esami di maturità e, più complessivamente, della scuola (e l’irrinunciabile funzione della scuola sancita dalla Costituzione).

Se non si farà questo cambiamento ci ritroveremo, tra un anno, a parlare degli esami di maturità rispetto alle polemiche sui titoli dei temi della prova d’italiano, oppure sulla valenza antropologica, di rito di passaggio, che avrebbe l’esame (tema che sarebbe anche interessante a patto di coglierne l’aspetto paradossale in una società in cui è sempre più difficile l’autonomia delle giovani generazioni nella vita personale, nel reddito, nel lavoro, nella stessa prosecuzione degli studi).

Insomma, ci ritroveremo in una situazione d’impotenza. Per evitare questo esito l’unica strada possibile è quella di un grande dibattito che rimetta in discussione il quadro che si è consolidato in questi anni.