L’AI come amico, guida, terapeuta: Carmela Giglio ci spiega come educare (ed educarci) a questa nuova forma di relazione.
Metodologie In Italia si parla da tempo della necessità di introdurre nelle scuole l’educazione affettiva, un’espressione che non riguarda soltanto la sfera sessuale o le relazioni amorose, come a volte si tende a credere, ma che tocca anche l’amicizia, la gestione delle emozioni e dei conflitti, il rapporto con gli adulti e con se stessi. Temi centrali, soprattutto in un momento storico in cui il disagio emotivo e relazionale degli adolescenti sembra in crescita costante.
Eppure, nonostante un consenso sociale sempre più ampio e numerose proposte di legge mai andate in porto, l’educazione affettiva resta confinata all’iniziativa delle singole scuole. Solo il 47% degli adolescenti dichiara di aver avuto esperienze sporadiche di educazione affettiva o sessuale in classe, e la percentuale scende drasticamente al Sud e nelle isole. La realtà, nel frattempo, corre più veloce del dibattito istituzionale. Mentre si discute ancora di come introdurre l’educazione affettiva nelle scuole, si diffonde un nuovo tipo di relazione, del tutto inedita e difficile da gestire persino per insegnanti e genitori, quella con l’Intelligenza Artificiale.
A marzo 2025 chatGPT è diventata l’app più scaricata al mondo, superando Instagram e TikTok, e ovunque è possibile raccogliere testimonianze sull’uso sempre più assiduo che se ne fa, non solo per motivi legati al lavoro o allo studio, ma anche nella vita quotidiana, come supporto personale. Sta emergendo infatti un fenomeno del tutto nuovo, che riguarda adulti e adolescenti, ma che su questi ultimi necessita di una maggiore attenzione: i chatbot stanno diventando nostri amici. Sono i nostri solerti consulenti, i nostri devoti assistenti personali, gli aiutanti che ci guidano tra questa e quella opzione.
Pensavamo ci sarebbero serviti solo per il lavoro, e che ce l’avrebbero rubato in fretta. Ma ciò che sta capitando più velocemente è un’altra cosa: le AI stanno colmando un vuoto emotivo ed esistenziale, in una società in cui la solitudine è una dimensione sempre più diffusa. Rappresentano un rifugio, uno spazio non giudicante, attivo a qualsiasi ora, paradossalmente caldo. A dimostrarlo è quest’infografica tratta da un articolo dell’Harvard Business Review uscito nel marzo 2025, che riprende un analogo report del 2024 in cui si indagava sull’uso delle GenAI, attraverso l’analisi delle conversazioni degli utenti su forum quali Reddit e Quora.
Com’è evidente, in appena un anno, l’uso dei chatbot è cambiato profondamente ed è passato dall’ambito creativo-professionale a quello personale-terapeutico, anche grazie a una precisa direzione verso una crescente “umanità” che i colossi delle genAI stanno dando ai loro bot. E stiamo parlando di AI conversazionali “generaliste”, come chatGPT, Claude o Gemini. Altro caso ancora è quello dei chatbot nati apposta per simulare relazioni amicali e sentimentali, come Replika.
Si è passati quindi da “lo uso per fare un po’ di brainstorming” a “lo uso per sentirmi meno solo”. Una solitudine che ha diverse facce:
Questo non è un trend che investe l’intera società in maniera trasversale, ovviamente. E non deve generare allarmismi. Ma sono sicura che chiunque usi un chatbot quotidianamente un po’ si è sentito chiamare in causa leggendo quell’infografica. D’altro canto, basta scorrere i commenti a questo articolo su Medium – in cui si millanta un magico prompt che ti cambia la vita – per capire di cosa stiamo parlando. Qualcuno sostiene che ormai si confronta quasi esclusivamente solo con chatGPT per i piccoli e grandi problemi quotidiani, qualcun altro dice che ormai gli psicoterapeuti sono obsoleti, molti sono concordi nel trovare la macchina molto più di conforto di un essere umano.
Dovremmo preoccuparci di questo fenomeno? Dipende. Non è un problema di per sé far entrare chatGPT nelle nostre vite e fargli indossare i panni di una persona in carne e ossa. Il problema è essere consapevoli di questa “messinscena”. Per farlo, è utile tenere a mente alcune cose fondamentali:
Siamo preparati a gestire questa nuova dimensione relazionale? Probabilmente non ancora. Soprattutto, come affrontare un problema ancora più spinoso, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, che stanno crescendo letteralmente con l’AI in mano? Se ancora non ci siamo messi d’accordo sul se e come introdurre l’educazione affettiva a scuola e ci sembra un problema spinosissimo parlare di relazioni tra esseri umani, come pensiamo di gestire una generazione che si sfoga e chiede aiuto all’AI di WhatsApp?
Non è catastrofismo, ma è un fenomeno su cui vigilare, ciascuno per la propria fetta di responsabilità, rendendo più consapevoli noi stessi e le persone di cui ci prendiamo cura:
Come per molti altri fenomeni, la risposta non è ignorare il fenomeno, ma attivare una rete per creare consapevolezza: è necessario coinvolgere le famiglie, le istituzioni scolastiche, psicologi ed educatori, ma anche esperti di Intelligenza Artificiale, che possono aiutarci a capire come “ragiona” l’AI e in che modo può esserci utile senza illuderci di non essere più soli.